lunedì 22 luglio 2013

I poveri

I poveri erano così poveri che presero la loro fame, la misero in bottiglia e andarono a vendersela. Se la comprarono i ricchi. I ricchi che nella vita avevano mangiato tutto dal caviale ripieno all’ossobucodiculodicane allo spiedo e volevano conoscere anche il sapore della fame dei poveri. Se la comprarono i ricchi ,la pagarono bene e per un po’ i poveri tirarono avanti, ma poi tornarono a essere poveri come prima. Allora imbottigliarono la loro sete e andarono a vendersela. Se la comprarono i ricchi che nella vita avevano bevuto tutto, dal Brunello al tavernello ma non avevano ancora assaggiato la sete dei poveri. Ancora un po’ i poveri tirarono avanti, ma poco tempo più tardi tornarono nella povertà. Allora presero la loro rabbia la misero in bottiglia e andarono a vendersela. Se la comprarono i ricchi. I ricchi che nella vita si erano sentiti indispettiti, alle volte addirittura indignati, ma la rabbia vera non l’avevano mai provata. Così se la comprarono dai poveri che ce n’avevano tanta. I poveri tirarono avanti, ma poi vendettero anche il loro pudore, la loro vergogna, il loro dolore. Imbottigliarono la commozione e l’insubordinazione, la violenza e il riscatto, la rivolta e la pietà. Col tempo le cantine dei ricchi si riempirono di bottiglie. Accanto ai grandi vini d’annata collezionavano la fame dei sanculotti della rivoluzione e la rabbia dei braccianti che occupavano le terre del Meridione. Tra gli spumanti e gli champagne trovavano posto la pazzia dei pellagrosi nelle campagne o l’orgoglio dell’aristocrazia operaia che aveva difeso le fabbriche dai nazisti e s’era guadagnata i diritti nelle lotte sindacali. Tra novelli e i passiti c’era il disgusto dei precari e dei senza casa o la determinazione dei Zapatisti che marciarono verso Città del Messico col passamontagna. Dopo qualche generazione i poveri s’erano venduti tutto. I poveri diventarono così poveri che presero la loro povertà, la misero in bottiglia e andarono a vendersela. Se la comprarono i ricchi che volevano essere così tanto ricchi da possedere anche la miseria dei miseri. Quando i poveri restarono senza niente si armarono. E non di coltello e forchetta, ma di pistole e fucili perché la rivoluzione non è un pranzo di gala, la rivoluzione è un atto di violenza. Marciarono verso il palazzo. Però quando arrivarono sotto il balcone del podestà si fermarono e rimasero zitti. Perché senza la rabbia e la fame, senza l’orgoglio e il disgusto, senza cultura e coscienza di classe non si fa la rivoluzione. Così il podestà scese in cantina, tornò con una bottiglia e la riconsegnò al popolo. C’era imbottigliata la libertà che avevano conquistato i loro nonni, ma che i padri s’erano già venduta da un pezzo. Potevano farci un inno o un partito, un circolo o una bandiera. La stapparono, ma non riuscirono a farci niente. Perché la libertà da sola non serve. Allora il podestà si cercò in tasca e trovò una scatola di caramelle alla menta. La consegnò al popolo. E da quel momento i poveri furono liberi. Liberi di succhiare mentine.

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