"In ultima analisi, non è dunque un pugno di governanti quello che ci schiaccia, ma è l’incoscienza, la stupidità dei montoni di Panurgo che costituiscono il bestiame elettorale. Noi lavoreremo senza tregua in vista della conquista della “felicità immediata”, restando partigiani del solo metodo scientifico e proclamando con i nostri compagni astensionisti: L’ELETTORE, ECCO IL NEMICO! E adesso alle urne, bestiame!” Manifesto dei redattori del giornale francese “L’Anarchie”, 1906
lunedì 22 luglio 2013
I poveri
I poveri erano così poveri che presero
la loro fame, la misero in bottiglia e
andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi.
I ricchi che nella vita avevano mangiato
tutto dal caviale ripieno all’ossobucodiculodicane
allo spiedo e volevano
conoscere anche il sapore della fame
dei poveri.
Se la comprarono i ricchi ,la pagarono bene
e per un po’ i poveri tirarono avanti,
ma poi tornarono a essere poveri come
prima.
Allora imbottigliarono la loro sete e
andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi che nella
vita avevano bevuto tutto, dal Brunello
al tavernello ma non avevano ancora
assaggiato la sete dei poveri.
Ancora un po’ i poveri tirarono avanti,
ma poco tempo più tardi tornarono
nella povertà.
Allora presero la loro rabbia la misero
in bottiglia e andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi.
I ricchi che nella vita si erano sentiti
indispettiti, alle volte addirittura indignati,
ma la rabbia vera
non l’avevano mai provata. Così se
la comprarono dai poveri che ce n’avevano
tanta.
I poveri tirarono avanti, ma poi vendettero
anche il loro pudore, la loro
vergogna, il loro dolore. Imbottigliarono
la commozione e l’insubordinazione,
la violenza e il riscatto, la rivolta e
la pietà.
Col tempo le cantine dei ricchi si
riempirono di bottiglie. Accanto ai
grandi vini d’annata collezionavano la
fame dei sanculotti della rivoluzione e
la rabbia dei braccianti che occupavano
le terre del Meridione.
Tra gli spumanti e gli champagne
trovavano posto la pazzia dei pellagrosi
nelle campagne o l’orgoglio dell’aristocrazia
operaia che aveva difeso le
fabbriche dai nazisti e s’era guadagnata
i diritti nelle lotte sindacali. Tra novelli
e i passiti c’era il disgusto dei precari
e dei senza casa o la determinazione
dei Zapatisti che marciarono verso
Città del Messico col passamontagna.
Dopo qualche generazione i poveri
s’erano venduti tutto.
I poveri diventarono così poveri che
presero la loro povertà, la misero in
bottiglia e andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi che volevano
essere così tanto ricchi da possedere
anche la miseria dei miseri.
Quando i poveri restarono senza
niente si armarono.
E non di coltello e forchetta, ma di
pistole e fucili perché la rivoluzione
non è un pranzo di gala, la rivoluzione
è un atto di violenza.
Marciarono verso il palazzo.
Però quando arrivarono sotto il balcone
del podestà si fermarono e rimasero
zitti. Perché senza la rabbia e la fame,
senza l’orgoglio e il disgusto, senza
cultura e coscienza di classe non si
fa la rivoluzione.
Così il podestà scese in cantina, tornò
con una bottiglia e la riconsegnò al
popolo. C’era imbottigliata la libertà
che avevano conquistato i loro nonni,
ma che i padri s’erano già venduta da
un pezzo. Potevano farci un inno o un
partito, un circolo o una bandiera.
La stapparono, ma non riuscirono a
farci niente.
Perché la libertà da sola non serve.
Allora il podestà si cercò in tasca e
trovò una scatola di caramelle alla
menta. La consegnò al popolo. E da
quel momento i poveri furono liberi.
Liberi di succhiare mentine.
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