Scrivere è difendere la solitudine in
cui ci si trova; è un’azione che scaturisce soltanto da un isolamento
effettivo, ma comunicabile, nel quale, proprio per la lontananza da
tutte le cose concrete, si rende possibile una scoperta di rapporti tra
esse.
È una solitudine, però, che non ha bisogno di essere difesa, che non ha
bisogno cioè di giustificazione. Lo scrittore difende la sua solitudine,
rivelando ciò che trova in essa e in essa soltanto.
Se esiste un parlare, perché scrivere? Ma l’espressione immediata,
quella che sgorga dalla nostra spontaneità, è qualcosa di cui non ci
assumiamo interamente la responsabilità, perché non emana dalla
totalità integrale della nostra persona; è una reazione sempre dettata
dall’urgenza e dalla sollecitazione. Parliamo perché qualcosa ci
sollecita e ci sollecita dall’ esterno, da una trappola in cui ci
cacciano le circostanze e da cui la parola ci libera. Grazie alla parola
ci rendiamo liberi, liberi dal momento, dalla circostanza assediante e
istantanea. Ma la parola non ci pone al riparo, né pertanto ci crea,
anzi, il suo uso eccessivo produce sempre una disgregazione; per mezzo
della parola vinciamo il momento e subito dopo siamo vinti da esso,
dalla successione di momenti che superano il nostro assalto senza
lasciarci rispondere. E’ una continua vittoria, che alla fine si
trasforma in sconfitta.
E da questa sconfitta intima, umana, non di un singolo uomo ma
dall’essere umano, nasce l’esigenza di scrivere. Si scrive per rifarsi
della sconfitta subita ogni qualvolta abbiamo parlato a lungo. La
vittoria del resto, può darsi solo dove si è subita la sconfitta, nelle
stesse parole. Queste stesse parole, avranno ora, nello scrivere, una
diversa funzione: non serviranno più il momento oppressore, non
serviranno più a giustificarci di fronte all’assalto del momentaneo,
bensì, partendo dal centro del nostro essere raccolto in se stesso, ci
difenderanno di fronte alla totalità dei momenti, di fronte alla
totalità delle circostanze, di fronte alla vita intera.
"In ultima analisi, non è dunque un pugno di governanti quello che ci schiaccia, ma è l’incoscienza, la stupidità dei montoni di Panurgo che costituiscono il bestiame elettorale. Noi lavoreremo senza tregua in vista della conquista della “felicità immediata”, restando partigiani del solo metodo scientifico e proclamando con i nostri compagni astensionisti: L’ELETTORE, ECCO IL NEMICO! E adesso alle urne, bestiame!” Manifesto dei redattori del giornale francese “L’Anarchie”, 1906
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