Nessuno, quasi nessuno
ha mai avuto riguardi per noi. Il turbamento dei borghesi, quando lasciammo la
galera, ha continuato ad essere il turbamento di tutti, fino a questo momento;
e invece di prenderci in considerazione e aiutarci, sostenerci, ci hanno trattato
come banditi, ci hanno accusato di essere degli incontrolados: perché
non sottomettiamo il ritmo della nostra vita, che volevamo e vogliamo libera,
agli stupidi capricci di qualcuno che si è sentito stupidamente ed
orgogliosamente padrone degli uomini per essersi seduto in un ministero o in un
comitato; e perché, nei paesi dove siamo passati, dopo aver strappato ai
fascisti le loro proprietà, abbiamo cambiato sistema di vita, eliminando i
feroci signorotti che tormentavano la vita dei contadini dopo averli derubati,
e ponendo la ricchezza in mano agli unici che avevano saputo crearla: in mano
ai lavoratori. Nessuno, lo posso assicurare, nessuno si è comportato, con i
poveri, con i bisognosi, con coloro che per tutta la vita furono derubati e
perseguitati, meglio di noi, gli incontrolados, i banditi, gli avanzi di
galera. Nessuno, nessuno – sfido chiunque a dimostrare il contrario – è stato
più affettuoso e più servizievole con i bambini, le donne e gli anziani.
Nessuno, assolutamente nessuno, può accusare questa colonna che, sola, senza
aiuti, anzi ostacolata è stata sin dall'inizio all'avanguardia; nessuno può
accusarla di mancanza di solidarietà, o di dispotismo, di debolezza o di viltà
quando si trattava di combattere, o di indifferenza verso i contadini, o di non
essere rivoluzionaria, poiché l'audacia e il valore nella lotta erano state
nostra norma, la nobiltà nei confronti dello sconfitto la nostra legge, la
cordialità coi nostri fratelli la nostra divisa e la bontà e il rispetto sono
stati il criterio di tutta la nostra vita.
Perché questa leggenda
nera tessuta intorno a noi? Perché questo accanimento insensato a screditarci
quando il nostro discredito, che non è possibile, non farebbe che pregiudicare
la causa rivoluzionaria e la guerra stessa?
C'è – noi uomini della
galera, che abbiamo sofferto più di nessun altro in terra, lo sappiamo – c'è
dico, nell'aria un notevole imborghesimento. Il borghese di anima e di corpo,
che è quanto di più mediocre e servile, trema all'idea di perdere la sua tranquillità,
il suo sigaro e il suo caffè, i suoi tori, il suo teatro e le sue puttane, e
quando sentiva parlare della Colonna, di questa Columna de Hierro,
sostegno della Rivoluzione in queste terre del Levante, o quando sapeva che la
Colonna annunciava il suo viaggio a Valenza, tremava come una foglia pensando
che quelli della Colonna lo avrebbero strappato alla sua vita comoda e
miserabile. E i borghesi – ci sono borghesi di vari tipi e in vari posti –
tessevano senza sosta, con i fili della calunnia, la nera leggenda di cui ci
hanno gratificato; perché è ai borghesi e solo ai borghesi che hanno potuto e
possono nuocere le nostre attività, le nostre rivolte, e questi desideri
pazzamente incontenibili che portiamo nel nostro cuore, di essere liberi, come
le aquile sulle più alte vette o come i leoni in mezzo alle foreste.
Perfino i fratelli, che
soffrirono con noi nei campi e nelle officine, che furono vigliaccamente
sfruttati dalla borghesia, si fecero eco della terribile paura di questa e
arrivarono a credere, perché glielo disse qualcuno assetato di potere, che noi,
gli uomini che lottavamo nella Columna de Hierro, eravamo banditi
senz'anima; sicché un odio, che spesso è arrivato alla crudeltà e
all'assassinio fanatico, disseminò il nostro cammino di pietre per impedirci di
avanzare contro il fascismo.
Di notte, in queste
notti oscure in cui l'arma in braccio e l'orecchio vigile, cercavo di penetrare
nelle profondità dei campi e nei misteri delle cose, come in un incubo, non
trovavo altro rimedio che alzarmi dal riparo, e non per sgranchire le membra,
che sono d'acciaio perché forgiate nel dolore, ma per impugnare con più rabbia
l'arma, con la voglia di sparare, non solo contro il nemico nascosto a meno di
cento metri, ma contro l'altro, quello che non vedevo, quello che mi si
nascondeva al fianco e si nasconde tutt'ora, chiamandomi compagno, mentre mi
vendeva vigliaccamente, poiché non c'è vendita più meschina di quella che si
nutre di tradimento. E avevo voglia di piangere e di ridere, e di correre per i
campi gridando e di stringere gole tra le mie dita di acciaio, come quando
spezzai tra le mie mani quella del lurido prepotente, e di far saltare,
riducendolo in macerie, questo mondo miserabile dov'è difficile trovare mani
amorevoli che asciughino il tuo sudore e fermino il sangue delle tue ferite
quando, stanco e ferito, torni dalla battaglia.
Un "Incontrolado" de la Columna de Hierro
Note:
Il brano "¡A las Barricadas!" venne pubblicato per la prima volta nel Novembre 1933, col nome originale di Marcha Triunfal, sottotitolo A las Barricadas, nel supplemento interno del periodico anarchico Tierra y Libertad. Il sindacalista Valeriano Orobón Fernández fu l'autore della stesura, con arrangiamento per corale di Angel Miret, la partitura musicale ricalca invece la Warszawianka 1905 roku, composta da anonimo nel 1893, ripresa poi dal poeta polacco Wacław Święcicki nel 1897, e destinata alfine a divenire canto di protesta degli oppositori internati dal regime zarista, nonché colonna sonora della Rivoluzione d'Ottobre. ¡A las Barricadas! è tuttora l'inno ufficiale della CNT, Confederacion Nacional del Trabajo, cui fa riferimento anche l'ultimo verso del testo.
Nosotros si chiamava il mitico gruppo "terroristico" formato a Barcellona da: Buenaventura Durruti, Paco Ascaso, Garcia Oliver, Gregorio Jover. Oltre che del loro organo specifico di stampa, Linea de Fuego, gli uomini della Colonna di Ferro potevano disporre, per informare delle proprie idee e delle proprie azioni una fascia più ampia di lettori, delle pagine di uno dei giornali più popolari della CNT: Nosotros
1 commento:
Un "incontrolado" de la Columna de Hierro,
Filarmonici
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