Il fatto è che l’essere umano, intorno ai cinque anni di
età, si presenta come la miniatura di un universo perfetto: chiede il perché di
tutto, tocca tutto, si offre a tutti, esplora incessantemente il mondo che lo
circonda, si muove senza sosta, gioca, canta, si difende, si dispera fino a
ottenere ciò che vuole e i suoi stessi comportamenti sono un’arte, in quanto coincidono
perfettamente con ciò che sente e prova e afferma e nega. Poi questo capolavoro
vivente (qualsiasi sia la sua origine) approda nello spazio scolastico e viene
immediatamente sottoposto a secche restrizioni: lo obbligano a star seduto, non
può esprimersi o intervenire se non quando “tocca a lui” e, quando chino sul
foglio si abbandona con gioia alla propria creatività e disegna ciuffi di
ciliegie di forma triangolare di un delicato color rosa, implacabilmente “la
maestra” fa notare che: “No piccolo mio, stai più attento, le ciliege non sono
triangolari, sono rotonde.” La grande mano della maestra imprigiona la manina
smarrita e la obbliga a correggere i triangoli in altrettanti cerchi. “Così…
così… E poi non sono rosa, sono rosse. Le ciliege sono rosse!” E da
quell’istante ha inizio il percorso della sfiducia in se stessi, indispensabile
per sottomettere un essere umano e fargli credere sia ineluttabile negare a se
stesso il tempo del gioco e della vita. Quando la sua sottomissione alla fine
dell’esperienza scolastica sarà tale da subire con tremore e ossequio la
tortura di esami insensati e vessatori, in cambio riceverà il diploma. Maturo.
Maturo a sottomettersi per tutta la vita a un lavoro di otto o dieci ore al
giorno, insomma un ergastolo vestito da “necessità sociale”. Così, di anno in
anno, di programma in programma, il genocidio si compie, facendo nascere nei
giovani una legittima repulsione per qualsiasi cibo culturale che non sia la
frivola, superficiale lista di scempiaggini da fast food culturale dei giornali
sportivi o scandalistici, la pornografia, i film industriali, le soap opera,
gli inviti lusinghieri a tentare la fortuna al lotto o al gratta e vinci, la
cultura sciatta e triviale della tifoseria nel calcio, la bassa qualità del
diverbio politico tra i partiti. La libertà di imparare invece condurrebbe ad
una armonica crescita dell’infanzia all’interno di una personalità sempre più
sicura di sé, capace di costruirsi un proprio destino, senza alcuna traccia di
sottomissione o di dipendenza.
“Cosa proponi dunque come alternativa a proposito della scuola?”
“Mi piacerebbe che alle scuole
accadesse quello che giustamente è accaduto ai manicomi. E cioè che tutte le
scuole venissero chiuse. Messe fuorilegge. E che ci fossero dei Centri di
Salute Culturale (così come invece dei manicomi ci sono dei Centri di Igiene
Mentale) nei quali i bambini, i ragazzi e i giovani andrebbero, spinti dalla
necessità di imparare, trovando operatori culturali in grado di fornire loro le informazioni giuste sui vari meccanismi di
apprendimento, libri, cinema, computer, sull’uso di biblioteche, di nastroteche
per accedere ai massimi capolavori dell’arte e così via… Dei laboratori,
insomma. Spazi di incontro da frequentare soprattutto in caso di pioggia. Un
buon computer costa mille volte meno di un insegnante e “sa” mille volte di
più. Inoltre, una volta liberate le strade cittadine dalle automobili con efficienti
installazioni di marciapiedi mobili e una volta liberati gli esseri umani
dall’obbligo di lavorare più di tre ore al giorno, ognuno diverrebbe insegnante
di ciascuno. E allora ogni essere umano sarebbe tanto “essere umano” quanto
ogni gatto è stupendamente “Gatto”.
Ma dove si andrebbe a finire se
tutti gli esseri umani coincidessero con se stessi? Cosa potrebbero fare nel
tempo che ora li occupa a lavorare? Va detto che, a chiunque io abbia fatto
questo discorso, la classica opposizione è la seguente: “Certo, lo so che sono
prigioniero di una serie di gabbie invisibili, il lavoro obbligatorio, la
famiglia subita perché mal frequentata, il desiderio di denaro come frutto di
una perenne indigenza etc... Ma tutto ciò mi dà almeno una certa sicurezza. Cosa
farei se fossi libero?”
E’ proprio l’impossibilità di
concepire la libertà che rende l’uomo schiavo. Essere riusciti a togliergli la
possibilità perfino di immaginare una vita vissuta nella libertà lo rende
perfettamente sottomesso, uno schiavo moderno.
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