martedì 7 agosto 2012

De André principe anarchico, profeta di umanità nuova




De André è un principe e un anarchico. Non è un’interpretazione: è quello che so di lui per le canzoni che ho sentito. Le ho sentite tutte, la prima l’ho sentita che avevo 14 anni da un juxe-box di un’osteria in mezzo alla periferia più marcia di Genova. Le ho imparate a memoria non per intenzione, perché mi sono “entrate”, sono venute e sono rimaste. Sono rimaste, credo, per qualche motivo che mi è ignoto e che non voglio nemmeno sapere. 
De André è la voce che io non ho. Io scrivo rimanzi. Ho fatto il conto che ormai sono vent’anni che scrivo romanzi; ma io so che morirò – anche se dovessi morire (e non sarà così) a cent’anni – io morirò senza aver saputo dispiegare la mia voce. Lui canta per me. La sua voce è il mio silenzio. La sua voce è la voce che non ho. E’ questo. E’ un principe, come si è principi in Genova. 
De André è genovese, di una vecchia e antica famiglia dell’aristocrazia borghese genovese. E’ un principe come lo si può essere a Genova. Perché Genova, che è una Repubblica di principi ed è stata governata da principi per sette secoli, ha un’idea dell’aristocrazia e della nobiltà che è difforme da qualunque altra, nel territorio nazionale. I principi di Genova vivevano assieme nello stesso palazzo dove vivevano gli artigiani, i commercianti, gli operai, i facchini del porto. 
Ed è anarchico, è un principe anarchico; la qual cosa non è assolutamente rara: Kropotkin era un principe e un teorico dell’anarchia, Bakunin era un nobile. La sua anarchia non era la bandiera: non credo che avesse mai sventolato la bandiera; la sua anarchia non era un discorso politico, non era una linea politica (men che meno); la sua anarchia era una speranza di redenzione; un’ipotesi di redenzione. La sua voce è la voce di un uomo che pensa che il mondo può essere nuovo; e l’uomo, nel nuovo mondo, è un uomo nuovo: umanità nova. 
De André è un principe anarchico. E quindi è semplicemente e soltanto nella scia, nella tradizione della nobiltà anarchica. Io e lui – io sottoproletario, lui principe – sappiamo che è possibile vivere assieme, per riuscire – se mai ce la faremo – ad annientare l’odiata borghesia. E le sue canzoni, in particolare proprio le canzoni in lingua genovese, sono candelotti di dinamite sotto il culo del re borghese: di questo paese, di questa realtà, di questo mondo. 

Maurizio Maggiani

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