"In ultima analisi, non è dunque un pugno di governanti quello che ci schiaccia, ma è l’incoscienza, la stupidità dei montoni di Panurgo che costituiscono il bestiame elettorale. Noi lavoreremo senza tregua in vista della conquista della “felicità immediata”, restando partigiani del solo metodo scientifico e proclamando con i nostri compagni astensionisti: L’ELETTORE, ECCO IL NEMICO! E adesso alle urne, bestiame!” Manifesto dei redattori del giornale francese “L’Anarchie”, 1906
giovedì 18 aprile 2013
Ormai è fatta
Ore 8,15 – Sono solo in cella. Prima di sapere con
certezza se oggi è realmente il giorno tanto atteso dovranno
trascorrere ancora 45 minuti.
Ho tutto il tempo per lavarmi, radermi e vestirmi con
calma.
Scruto il mio volto nello specchio. Apparentemente
non tradisce alcuna emozione. Tendo la mano e noto
con soddisfazione ch’essa non trema più che d’abitudine.
Mi sento calmo, riposato, contento d’avere trascorso
una notte tranquilla contrariamente alle previsioni.
Se «loro» saranno all’appuntamento, tra poco più
d’un’ora sarò libero!
Tra qualche ora sarò lontano, al sicuro... E se ieri c’è
stato qualche intoppo? No, meglio non pensarci... tutti
questi mesi di preparazione, d’ansie, di speranze, non
possono andare persi per un banale contrattempo.
«Loro» hanno senz’altro mantenuto fede agli impegni,
hanno senz’altro fatto il proprio dovere e tra poco toccherà
a me fare il mio.
Li riconoscerò quando li rivedrò? Sono ormai trascorsi
cinque anni da quando... cinque anni... anni di sofferenze,
umiliazioni, lotte, speranze, evasioni tentate e
mancate, delusioni... Ed io, sono ancora lo stesso uomo
di cinque anni fa? No, cinque anni di questa vita cambiano
un uomo, lo scavano dentro, lo trasformano. Questo
non vuol dire che io debba necessariamente essere
diventato peggiore: sino a quando un uomo non si rassegna
è ancora recuperabile.
«La minaccia peggiore per la libertà non consiste nel
lasciarsela strappare – perché chi se l’è lasciata strappare
può sempre riconquistarla – ma nel disimparare ad
amarla e nel non capirla più».
Certo, quando Bernanos esprimeva questi concetti, si
riferiva a lotte meno egoistiche di quella che sto intraprendendo.
Sì, c’è dell’egoismo in quanto sto facendo,
ma se le circostanze me lo permetteranno, questo potrebbe
anche essere il primo passo d’un cammino più
lungo.
Ore 9 – Esco in corridoio e m’arrampico sulla fine
stra convenuta. Sotto di me c’è l’alto muro di cinta. Sul
muro una guardia armata passeggia lentamente domandandosi
– forse – quali circostanze dell’esistenza gli
hanno messo un mitra in mano al posto d’una zappa.
Al di là del muro di cinta si vede lo zoo ed i giardini
pubblici.
Alcuni bambini giocano seguiti dallo sguardo vigile
della madre che – forse – pensa che sarebbe bello se anche
il padre dei bambini fosse là a godersi il fresco del
parco al posto di vendere ad un padrone le ore più belle
della giornata. Forse, se tutti, proprio tutti, contribuissero
alla produzione di quanto indispensabile alla collettività
, un paio d’ore di lavoro giornaliero basterebbero...
Su una panchina una coppia si scambia gesti naturali.
Lei è molto cambiata in questi cinque anni. Lui non è
l’uomo che attendevo ma è al corrente di tutto perché
appena mi scorge mi scambia il segnale convenuto.
Con calma la coppia si alza allontanandosi con naturalezza.
Adesso so con certezza che quando uscirò dal portone
principale, alle nove e mezza, niente sarà affidato al
caso.
Rientro in cella. Sono solo e nessuno entrerà a quest'ota.
La mia mano fruga nel nascondiglio preparato
con tanta cura. Nessuno, nemmeno i miei compagni di
cella, conosce questo nascondiglio da me covato con
tanto amore e discrezione per mesi. Settimane addietro,
all’occasione d’una improvvisa perquisizione effettuata da
personale specializzato del ministero con l’ausilio di rivelatori
metallici, ho tremato, ma il mio nascondiglio si
rivelò all’altezza della fiducia riposta in lui.
Ecco il prezioso pacchetto. Lo apro. Ecco la mia piccola
efficientissima «Mauser». Ne controllo per l’ultima
volta il meccanismo e me la lascio scivolare in tasca.
Ecco la patente e la carta d’identità perfettamente falsificate, i soldi, la carta stradale per un’eventuale situazione
d’emergenza. Ecco un bel pacchetto di pepe. Tutto
trova razionalmente posto nelle mie tasche. C’è anche la
pistola calibro 32. Purtroppo mi si ruppe e non mi fu
possibile ripararla, facendomi desistere dalla primitiva
idea di ricercare un complice. Farò da solo. Sarà più rischioso
ma almeno non correrò il rischio d’essere tradito
all’ultimo momento.
È inutile portare con me quest’altra pistola ma non
posso lasciarla in cella col rischio di mettere nei guai
compagni innocenti. La riavvolgo nello straccio, la getto
nel bidoncino dell’immondizia e vado a gettare il tutto
nei grandi contenitori che si trovano nel cortile comune.
Ci sono ancora una decina di minuti di tempo e decido
di trascorrerli nel cortile. Passeggio un poco poi mi
fermo a contemplare un foglio affisso da pochi giorni su
d’un muro: è l’elenco dei detenuti classificati «buoni»
per il secondo semestre del 1973. C’è anche il mio
nome e questa classificazione (arbitraria perché nessuno
ha richiesto il mio parere) mi dà il diritto di poter scrivere(in base al decrepito regolamento penitenziario ancora
in vigore) due lettere supplementari al mese a spese
dell’amministrazione penitenziaria. Giorni fa, quando
scorsi il mio nome su quella lista, provai un senso di
vergogna.
Sorrido al pensiero che qualche funzionario zelante
cancellerà senz’altro il mio nome da quella lista prima
di sera...
Il cortile è grande e serve anche come campo di football.
Su questo campo, partecipando ad un torneo, ho
vinto una medaglia d’oro: un’altra piccola vergogna da
dimenticare...
Fossano è uno di quei «carceri dal volto umano».
Questa classificazione comporta l’implicita ammissione
che esistono anche carceri dal volto disumano. In effetti
il detenuto di Fossano è privilegiato rispetto a detenuti
d’altri stabilimenti. Questa differenziazione delle carceri
è una cosa inammissibile. Il detenuto viene continua
mente ricattato con lo spettro di trasferimenti punitivi.
Un detenuto che ha conosciuto carceri duri quando
approda a Fossano crede di toccare il cielo con le dita.
Spesso detenuti dotati di carattere e combattività, una
volta qui sono oggetto d’una metamorfosi avvilente. I
risultati si vedono: durante questi ultimi mesi le rivolte e
le manifestazioni non sono certamente mancate nelle
carceri italiane. A Fossano non è volata una parola di
contestazione... Tutti qui sappiamo che alla più piccola
manifestazione d’indisciplina c’è immediato trasferimento.
Allora, meglio stare buoni e raccogliere ugualmente
i frutti di chi si sacrifica altrove... Le carceri
come Fossano mi fanno paura e rabbrividisco al pensiero
che potrei diventare, un giorno, simile a Tizio o a
Caio il cui sport preferito è di distribuire sorrisi (e peggio
) al direttore e al maresciallo per ingraziarseli e che
non fanno che scodinzolare quando passa un graduato
qualsiasi...
In Francia comportamenti del genere sono impensabili.
Forse perché il carcere francese è molto più duro,
quindi si crea una maggiore solidarietà tra i detenuti.
Sino a pochi anni fa la vita del detenuto francese era un
inferno ed è solo dopo lotte estremamente dure (non interamente
conosciute dall’opinione pubblica) che qualcosa
è cambiato e sta cambiando.
Anche il detenuto italiano si è notevolmente politicizzato
in questi ultimi anni ed ha ottenuto vantaggi materiali
considerevoli. Per quanto mi riguarda, mi sono trovato
spesso in prima fila sia in Francia che in Italia, ma
da un po’ di tempo mi sto domandando dove ci porterà
questo movimento di protesta. Commissioni interne...
delegati di sezione...
Sino a pochi anni fa queste istituzioni
«democratiche» erano impensabili all’interno delle carceri
, ma sono istituzioni pericolose come può esserlo
qualsiasi delega di potere. Alcuni mesi fa a Bologna accettai
di rappresentare la mia sezione innanzi ad alcune
autorità durante uno sciopero della fame collettivo. Assieme
agli altri delegati mi sono fatto abbindolare da
promesse che ancora oggi non sono state mantenute. In
quell’occasione noi della «commissione» fummo usati
per fare rientrare lo sciopero. È più facile trattare con alcuni
delegati più o meno «ragionevoli» che con una
massa di detenuti giustamente arrabbiati così come fuori
è più agevole per i padroni trattare con i sindacati che
direttamente con gli operai. A mio avviso, l’unica linea
valida è l’assemblea permanente degli interessati che
portano avanti le lotte. Ogni delega di potere si ritorcerà
contro coloro che rinunciano all’autogestione delle loro
lotte.
Sì, lotte, ma per cosa? Per ottenere migliori condizioni di vita, benefici materiali, concessioni, ecc.? Nessuno
nega che ottenere condizioni più umane di vita rappresenta
un progresso, ma lottare «solo» per questo vuol
dire allontanarsi sempre più dagli unici obiettivi validi.
Lottare per abbellire la propria prigione non è solo assurdo
ma anche antirivoluzionario. Questa lotta assomiglia
a quella dell’operaio che si batte per aumentare la
propria busta paga: sia gli uni che gli altri, lottando per
piccoli benefici materiali, per migliori condizioni di
vita, accettano implicitamente il mantenimento di quanto
– rivoluzionariamente – dovrebbero distruggere: il
rapporto «padrone-salario», «la prigione».
Ancora prima d’avere iniziata la nostra rivoluzione
vogliamo già scivolare su posizioni riformiste?
Sì certo, tra qualche anno tutte le carceri saranno
come questo di Fossano e anche meglio e la maggior
parte di noi si rassegnerà all’espiazione del proprio «debito
» sociale in condizioni non più sub-umane.
Bene, io non mi sento debitore ma bensì creditore,
per questo oggi cercherò d’andarmene. Dato che il gran
de rifiuto collettivo è ancora troppo lontano e dato che
questa sta diventando la sesta estate dietro le sbarre, mi
rifugio nel mio piccolo egoistico rifiuto individuale.
Basta, è l’ora. Addio carcere dal volto umano!
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