martedì 11 dicembre 2012

Aracoeli


Ogni creatura, sulla terra, si offre. Patetica, ingenua, si offre: «sono nato! eccomi qua, con questa faccia, questo corpo e questo odore. Vi piaccio? mi volete?» Da Napoleone, a Lenin e a Stalin, all’ultima battona, al bambino mongoloide, a Greta Garbo e a Picasso e al cane randagio, questa in realtà è l’unica perpetua domanda di ogni vivente agli altri viventi: «vi paio bello? io che a lei parevo il più bello?» E ciascuno, allora, si dà a esibire le proprie bellezze: donde si spiegano le nostre vanità disperate. Le smanie pubblicitarie delle divette, e le grinte dei generalissimi, e i poteri, e le finanze, e i kamikaze, e gli scalatori, e i funamboli; e ogni traguardo raggiunto, ogni primato («Per lei ero io il primo di tutti»). Orfani e mai svezzati, tutti i viventi si propongono, come gente di marciapiede, a un segno altrui d’amore. Una corona o un titolo, o un applauso, o una maledizione, o un’elemosina, o una marchetta. Tu mi paghi, e dunque accetti il mio corpo. Tu mi ammazzi, e dunque ti danni per me.
Sempre la stessa domanda, o millanteria, o pretesa, ci si consegna alla strage e alla croce e al sadismo e all’algolagnia e al saccheggio e alle macerie. Nessuno può sfuggire alla condanna della nascita: che in un tempo solo ti strappa dall’utero e ti incolla alla tetta. E chi, già ospitato in quel nido e nutrito da quel frutto gratuito, potrà adattarsi al territorio comune, dove gli si contende ogni cibo e ogni riparo? Avvezzo a una fusione incantevole, creduta eterna, e certo di un ringraziamento gaudioso per la propria ingenua offerta, il principiante impallidirà stupefatto all’incontro con l’estraneità e l’indifferenza terrestre; e allora si abbrutirà o si farà servo. Anche le bestie randagie chiedono, più ancora del cibo, le carezze: viziati essi pure dalla madre che li leccava, cuccioli, e di giorno e di notte, e di sotto e di sopra. Per la sua tetta e la sua lingua, non si richiedevano titoli. Né servivano addobbi, per piacere a lei.
“Vi vergognerete della vostra nudità”. E qui il primo grosso autocrate trascurò di aggiungere: “E avrete bisogno di carezze fino all’ultimo vostro giorno”, mentre in realtà ribadiva, con questa legge non detta, la propria ingiustizia istituita.


"E allora mi sono guardato negli occhi. Raramente ci si guarda, con se stessi, negli occhi, e pare che in certi casi questo valga per un esercizio estremo. Dicono che, immergendosi allo specchio nei propri occhi – con attenzione cruciale e al tempo stesso con abbandono – si arrivi a distinguere finalmente in fondo alla pupilla l'ultimo Altro, anzi l'unico e vero Sestesso, il centro di ogni esistenza e della nostra, insomma quel punto che avrebbe nome Dio. Invece, nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d'amore ormai scaduta e inservibile, ma ostinata fino all'indecenza."

1 commento:

Anonimo ha detto...

Rapallo 12.4.83

Cara Elsa Morante,

In Aracoeli, la breve vita di Carina è una delle pagine più alte della letteratura italiana di ogni tempo. Dissi, ad amici, quanto questo libro, per me, fosse importante - coraggio e tristezza così rari in questi anni di nulla - ma dissi soprattutto di quel ritratto: che per sapienza ricorda - e non a me sola - l'oro di sogno di Las Meninas. La breve quiete - nel vivere - di Carina, la sua infinita preziosità e dolcezza - sono davvero cosa immortale.

Sia contenta, dunque, cara Elsa Morante, di quanto ha avuto in dono - e ancora cerchi, nel suo giardino, quanto è nascosto. Pazienza, col proprio corpo, e anche con la propria anima. Vi saranno "risposte", sulla pagina; vi saranno altri doni, per cui Lei non potrà dire grazie, agli Dei o al Dio della Bellezza, che ricordando le proprie catene. Allora le saranno meno pesanti.

E poi, non è detto che non possano allentarsi da sole. Il mondo non è che un grande prodigio. Non vedere che sia prodigio, non muta la sua natura di fiaba. Un abbraccio. Un grazie. Un augurio di gioia

Sua A. Maria Ortese