mercoledì 28 novembre 2012

Un ricordo di Joyce Lussu

 
Sulla storia

Non si può essere obiettivi nel fare storia. Vivendo la fai e se la fai, lo sei, diventi tu la storia. L’importante è l’onestà dello sguardo che non adombri, che non escluda pregiudizialmente. Nessuno non è nella storia.

Dicono che, per esempio, le donne non ci sono state. Dicono.

Le donne ovviamente vivono la vita, come tutti, generandola anche e, quindi, vivono la storia del proprio tempo tanto che della loro presenza le cose hanno il segno e il senso. Ovviamente. Vivere è dare senso alla storia individuale e sociale dell’umanità. Sempre per tutti e per tutte. Indipendentemente da dove siamo o da chi siamo. Nulla può essere eliminato, cancellato, quasi ucciso, perché la vita afferma, sempre e ovunque, il suo esistere. Sempre. Che nessuno si senta chiamato fuori! Dipende dalla propria coscienza capirlo.

E qui sta la differenza (forse, fra noi). Anche se prima o poi ognuno arriva a capire questo fatto, anche quando ideologicamente lo nega, sottraendosi magari dalle colpe o dagli esiti negativi. C’è un tratto di storia in cui noi ci siamo stati: dove eravamo, da che parte guardavamo? E questo vale per ogni presente, anche l’odierno: qualsiasi esso sia. Bisogna chiederselo, quindi, perché anche lo sguardo è presenza. Niente è muto neanche il silenzio.

E questo è il diritto di ogni singolo incarnato nel suo essere umano e nel suo vivere necessariamente collettivo. E’ impossibile pensare alla storia del mondo senza gli uomini e le donne che l’ hanno prodotta e vissuta.

Noi siamo questi, non altro.

 *

Mio figlio nacque pochi giorni dopo l’entrata degli americani a Roma, sano e di quasi quattro chili. Non avevo mai avuto l’ occasione di avere a che fare con neonati, e mi parve miracoloso e bellissimo….non avevo parenti a Roma e i compagni, compreso il mio, erano talmente presi dalla febbrile attività della Liberazione, che non avevano tempo di occuparsi di una nascita così poco sincronizzata; d’altronde ero io, con eroismo balordo, a dire che me la cavavo benissimo senza nessuno. Il crollo venne quando tornai a casa….avevo un angoscioso senso di incapacità e d’inadeguatezza nei confronti dell’esserino, così fragile e impotente ma animato da una così selvaggia voglia di campare….
Passai il primo mese col mio bambino in solitudine e capii perché, nelle famiglie normali, c’é sempre un esagitato affollamento di parenti e di amici intorno ai genitori: è per distrali dall’enormità del loro compito di fronte alla vita che hanno chiamato in essere, dalla coscienza che, comunque vadano le cose, faranno sempre degli sbagli tremendi…

da “Lotte, ricordi e altro” – Biblioteca del Vascello 






Sardegna, da quando mi è apparsa, oltre il limite
la tua immagine?
Andavamo pei prati verdi, pei boschi verdi di lontani paesi
dove la lunga primavera
irrora di rugiada ogni notte
le ricche messi
dove l’aratro lucente solleva la zolla grassa e nera
lungo il lunghissimo solco
e sulle coste dei monti si alternano a distanze eguali
gli abeti numerati e i faggi.
Nella mia terra, diceva l’esule, nella mia terra antica
è breve il solco e dura la zolla
spesso la lama dell’aratro stride
e si smussa sul granito implacabile
breve è la primavera, e lunga la fatica
estiva, nella mia terra
e la foresta animosa e selvaggia s’abbarbica tra la pietraia
senza legge.
Vedevamo gli uomini andare al lavoro cantando
ai campi e alle officine
e tornar nelle case bianche dalle finestre fiorite
e trovar la zuppa grassa sul tavolo incerato della cucina
e i bimbi grassi e rosei dai chiari occhi.
Nella mia terra, diceva l’esule, l’uomo non canta
quando affonda la vanga nella terra riarsa
non canta quando conduce i greggi al pascolo rado
o scende nella miniera.
La sua fatica diurna è una lunga galera
senza gioia. E i bimbi han già, nei loro occhi d’ombra,
la pena millenaria.
Sardegna, scheggia di un continente più antico
crinale eroso rugginoso
come una spada dimenticata
che nessuno raccoglie.
Non sono le tue spoglie
belle ch’io cerco, per la gioia dei miei occhi.
Non i costumi splendidi delle tue donne diritte e aduste
non l’orbace che cinge i petti larghi dei tuoi re pastori
non l’incompresa parvenza dei tuoi furori
freddi delle tue pittoresche vendette
Non è non è questa la Sardegna. Io cerco il tuo sentire
diverso, racchiuso nel tuo chiuso animo come una volpe ferita
cerco l’immagine della vita nella tua fatica
difficile, nei tuoi dirupi di granito
nelle tue distese d’ogliastri e di lentischio
su pei colli orgogliosi e impervi come montagne
cui non danno dolcezza nemmeno le prime nebbie dell’alba
o le ombre calde dei tuoi tramonti.
Io cerco di far mia la tua solitudine
che ha un’armonia
diversa
la cui eco si smorza nel silenzio dei tuoi uomini
che affrontano ogni giorno la natura nemica
senza tregue
delle tue donne che portano alta la testa
sul collo alto celato dalle bende
e ogni giorno ogni giorno si affaccendano quetamente
attorno al fonte attorno al telaio attorno al focolare
con pazienza sdegnosa…

da ” Inventario delle cose certe” , Andrea Livi Editore


Quando prenderò la rincorsa                                         
per il grande tutto nell’aldilà
non è detto che arrivi tutta intera
secondo regole sportive
delle gare di velocità
Magari nel tragitto avrò perduto un occhio
o il timpano di un orecchio o l’uso di un ginocchio
o qualche altro pezzo
di me
ma pazienza! perché
tanto si arriva lo stesso.
Ma quello che non perderò per strada
sicuramente
è una lampadina saldata dentro le costole
che emetterà luce e calore
finché il cuore continuerà a pompare
magari in modo fiacco e irregolare.
E’ la luce e il calore del mio futuro vivente
qualcosa di specifico e speciale
all’interno della simpatia generale
per la natura e per la gente
è l’amore per te, figlio tanto amato
certo maldestramente
ma come si fa
ad amare correttamente
senza fare un mucchio di sbagli chi sa
chi ci riesce io so soltanto
che quando il tuo sorriso
da un silenzio serioso di buon ascoltatore
sale improvvisamente a tutto il viso
luccicante d’affetto e d’allegria
anch’io
mi gonfio d’allegria
come quando mi hai sorriso la prima volta
non solo coi petali rosa della bocca sdentata
ma anche con gli occhi color nocciola
con le guance di pesca e il nasino a patata.
E per te dolcissima Paola
spiga di grano susina dorata
figlia femmina molto desiderata
che mi hai detto migliaia di volte
vogliamo farci un caffè?
E ogni volta sono perfettamente felice
quando prendo un caffè con te
per voi Pietro e Tommaso appesi
a un mio cordone ombelicale
molto forte e particolare
per cui quando piangevate da piccoli
o qualcosa vi rende infelici
sento dentro uno strazio cocente
ma quando siete contenti
e le cose vi vanno bene
non c’è limite
alla mia gioia di vivere.
Tutta questa felicità
non potrà sparire dal mondo
anche dopo il gran tuffo nell’aldilà
continuerà a svolazzarvi attorno
travestita da lucciola o da farfalla
o saltellando sulle stelle
o giocando allo scivolo con le sibille
giù per l’arcobaleno o sul crinale
di un raggio di sole al tramonto
o magari danzando sulle punte
lungo una nota musicale.


da “Inventario delle cose certe”  -  Andrea  Livi ed.




C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…

da “Inventario delle cose certe” Andrea Livi ed.


Emilio ti ricordi
quando ci siamo incontrati
la prima volta
in una casa svizzera linda e lustra
di cera e di tendine
e già la sera stavamo abbracciati
in un letto a una sola piazza
e poi tanti decenni di cose fatte insieme
e le assenze
i viaggi lunghi e brevi
tu partivi io partivo
ci mandavamo cartoline
fino all’incontro successivo

E a un certo punto sei partito
per un viaggio più lungo
un posto dove non ci sono uffici postali
per mandar cartoline
o negozi per comprare regali
ma i pensieri arrivano lo stesso
Che ne direbbe di questo? sarebbe contento?
Gli sembrerebbe fatto male?

Forse se usassi bene gli occhi
sotto le palpebre chiuse ti vedrei arrivare
da dietro gli archi e i sempreverdi
con un sorriso
affettuoso e divertito
per lo scherzo che hai fatto
di non mandare notizie
oppure prendo in mano un tuo libro
e lo do a un giovinetto
affinchè tu gli parli con le parole giuste
e attendo io la risposta
o anche ripeto qualche cosa che hai detto
prima di partire
e cade tanto a proposito
da sembrare inventata in quel momento stesso

Non c’è niente di buio e di definitivo
in questo tuo essere assente
e il mio non è un aspettare
ma nemmeno una perdita o una voragine
in cui non sei più
Perché sei
sei dentro tante cose
parole immagini idee sentimenti
aspirazioni stimoli movimenti
presenti

da L’uomo dell’altipiano: riflessioni, testimonianze, memorie su Emilio Lussu

 
Un giornalista mi ha chiesto
se mi considero una donna di successo
E ho risposto di sì;

"Non puoi rispondere così"
ha osservato un amico
che mi segue dappresso
cercando d'impedirmi di far brutte figure
"I tuoi libri hanno scarse tirature
raramente hai accesso alle televisioni
il sociologo Alberoni
non ti ha mai citata...

"Allora avevo capito male
dissi, credevo che il successo
nella vita, fosse svegliarmi la mattina
di buon umore, senza problemi al fegato
guardando alla nuovissima giornata
come a un'avventura piacevole..."

"Ma lo sai bene che le femministe
ti hanno sempre snobbata
che Panorama e L'Espresso
non ti chiedono articoli
di politologia..."

"senti, sia come sia, ti confesso
che non m'interesso molto al successo
ma appassionatamente al succede
e al succederà,
Il successo è un paracarro
una pietra miliare
che segna il cammino già fatto.
Ma quanto più bello il cammino ancora da fare
la strada da percorrere, il ponte
da traversare
verso l'imprevedibile orizzonte
e la sorpresa del domani
che hai costruito anche tu..."

Da "Inventario delle cose certe




Chi ha detto che la vita è breve?
Non è vero niente
La vita è lunga quanto le nostre azioni
generose
quanto i nostri pensieri
intelligenti
quanto i nostri sentimenti
disinteressatamente umani.
La vita
è infinita.

Chi ha detto che la gioventù non dura?
Certo, ci sono anche i vecchi.
Ci sono i nazionalventenni
i mercenari e i razzisti
ci sono gli opportunisti di tutte le età
e i pensionati cronici
che pensan solo alla carriera
ci sono le rughe devastanti
dell'avidità di soldi e di potere.

Ma l'esperienza che non ha corroso
lo slancio
l'ironico disincanto
che non fa amare meno gli uomini
la saggezza
che combatte in prima linea
con gli occhi aperti sul futuro
sono l'alloro e l'elce
verdi
estate e inverno.

da "La vita è infinita"

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