lunedì 12 novembre 2012

Omaggio a Goliarda


Goliarda Sapienza


Il bambino è il primo operaio sfruttato, dipende dai grandi e sempre per un tozzo di pane, si abbassa a “divertire”, leccare le mani dei padroni, si lascia accarezzare anche quando non ne ha voglia: così comincia la prostituzione: si lascia sbaciucchiare dagli amici e le amiche, con barbe puzzolenti e rossetti nauseanti, parla con le “vocette” che piacciono tanto alla mammina, esce dalla stanza con “mossette” tanto “aggraziate”. E così anch’io, sbattuta fra tutte quelle mani, come probabilmente lo siete stati voi, conobbi la prostituzione di cantare quando loro volevano, di imitare l’avvocato amico di mio padre, di far finta che loro mi amavano e non pensavano che a me. Di piangere, dato che piangevo spesso: di piangere qualche volta anche se non ne avevo voglia, perché loro orgogliosi, davanti agli amici dell’università: “Non ci credi? È di una sensibilità straordinaria, sta’ a vedere” e Arminio iniziava a suonare il pianoforte e Ivanoe a cantare fissandomi: Mamma mormora la bambina… “Vedi, vedi come piange?” Piangevo infatti per non perdere il pane, il favore di quei grandi capricciosi e potenti.

Goliarda Sapienza, Lettera aperta


Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali. E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l'uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.
Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel "mio" contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima. E il mio odio crebbe giorno per giorno: l'odio di scoprirsi ingannati. Trovai le parole per uccidere Carmine. Trovai ciò che tutti i poeti sanno, che si può uccidere con le parole, oltre che con il coltello e il veleno.

Goliarda Sapienza, L’arte della gioia


A Roma con la borsa di studio fra le mani, che mi dava la prova tangibile che ero diventata grande, senza capire che quei soldi erano il prezzo che paga la società per prepararci a passare dalla parte dei guardiani del campo, entrai nel compromesso, mi rattrappii nel servaggio di avere successo ai loro occhi, di piacere. Credevo alla loro serietà e alla mia, e per vent’anni rimasi anchilosata a servirli a dire parole ambigue. A fare finta di non avere paura e a non dormire per paura dei loro atti, delle loro decisioni che, come se le capissi e approvassi incondizionatamente (come giuste e ragionevoli), mentre l’antico terrore annidato nel mio sangue ancora bambino gridava la notte svegliandomi. Riuscii a farlo tacere, ad imporgli la mia volontà di adulta: e cominciò una lotta di vent’anni fra questo bambino e il grande conformista nascosto nelle mie vene, nel mio intestino, riducendomi a una agonia che mi invadeva piano piano le gambe, le mani, i pensieri, spingendomi alla morte vera, in clinica. Là mi svegliai cadavere con quei due dentro di me che ancora lottavano e non riuscivano a mettersi d’accordo. Davanti a tanta lotta cominciai a dubitare di me, degli altri. Pensai di dover fare un po’ d’ordine, lavarmi la faccia, soffiarmi il naso, rovesciare il cassetto, mentendo o no.

Goliarda Sapienza, Lettera aperta


Hai una casa qui, puoi sostare un poco. Hai trovato una cucina che almeno per un'altra ora ti terrà al caldo e ti darà il tempo di ripensare la vita. Che cos'è la vita, se non ti fermi un attimo a ripensarla?

Goliarda Sapienza, Il vizio di parlare a me stessa


La vita è lotta, ribellione e sperimentazione, di questo ti deve entusiasmare giorno per giorno e ora per ora. Vedi me, sono morto tante volte combattendo, eppure sono qui con te tranquillo a ricordare e gioire delle mie lotte, pronto a rinascere e ricominciare. Ricominciare – sussurra sorridendo Jean dal grande schermo -, questo è il segreto, niente muore, tutto finisce e tutto ricomincia, solo lo spirito della lotta è immortale, da lui solo sgorga quella che comunemente chiamiamo Vita.

 Goliarda Sapienza, Io, Jean Gabin


Io, che con Jean Gabin ho imparato ad amare le donne, mi trovo ora con la fotografia di Margaret Tatcher davanti – sul giornale, beninteso, che da buona cittadina postrivoluzione francese compro tutte le mattine -, e comincio a pensare che qualcosa non è andato per il verso giusto in questi trent’anni di democrazia. Jean Gabin non ne sapeva niente di lady di ferro, donne poliziotte, soldate, culturiste. I suoi occhi azzurri – di Jean intendo – sognavano una donna che fosse come un fiume, un grande fiume languido e vertiginoso che andava a nutrire con le sue acque limpide il mare. Questo ho imparato da lui, e per me la donna è sempre stata il mare. Intendiamoci, non un mare delineato da un’elegante cornice dorata per fanatici del paesaggio, ma il mare segreto di vita, avventura magnifica o disperata, bara e culla, sibilla muta e risposta sicura; spazio immenso in cui misurare il coraggio di individualisti incalliti, ladri al ricco e donatori al povero, tutti d’accordo su una precisa breve frase: ‘Sempre fuori da tutti i poteri costituiti’, soli, ma con l’orgoglio di sapere la rettitudine che soltanto nell’outsider alligna.

Goliarda Sapienza, Io, Jean Gabin



Non sapevo che il buio
non è nero
Che il giorno non è bianco
Che la luce
a
cceca
E il fermarsi è correre
A
ncora
di più




Biografia:
Goliarda Sapienza nasce a Catania il 10 maggio 1924. I suoi genitori - la nota sindacalista lombarda Maria Giudice (1880-1953) e Giuseppe Sapienza (1880-1949), un avvocato socialista - si conoscono quando sono entrambi vedovi e quarantenni, con tre figli l’uno e sette l’altra. La loro intesa è sia sentimentale che politica: dirigono il giornale «Unione» e partecipano attivamente alle lotte per l’espropriazione delle terre in Sicilia, nel biennio 1920-22, durante il quale il figlio maggiore di Giuseppe, Goliardo Sapienza, viene trovato morto affogato in mare, presumibilmente ucciso dalla mafia, che difendeva gli interessi dei proprietari terrieri. Il nome ricevuto dal fratello morto tre anni prima della sua nascita è solo uno dei “pesi” dell’infanzia di Goliarda, segnata dalla morte di altri tre fratellastri, poco più che adolescenti; dalla sempre maggiore sofferenza e instabilità mentale della madre antifascista e idealista; dalla vitalità e passionalità del padre che non vuole rinunciare a nessun piacere della vita: ha molte donne, si dedica con fervore al suo lavoro di “avvocato del popolo”, ed è molto amato da tutti, in un’epoca difficile come quella fascista. Le doti artistiche di attrice, ballerina, cantante e affabulatrice della parola emergono fin da quando Goliarda è bambina ed adolescente, in cui ai “successi” di enfant prodige si alterna una salute precaria e l’insorgenza di malattie lunghe e gravi, come la difterite e la TBC. Nel 1943 si trasferisce con la madre a Roma, dove frequenta l’Accademia d’Arte drammatica, allora diretta da Silvio D’amico. Fare l’attrice le piace perché attraverso la recitazione può esprimere la pienezza e contraddizione del suo animo, ma non le piace il mondo falso in cui spesso vivono attori e attrici di successo. Alla fine del corso non si diploma, e, contestando gli insegnamenti retrogradi dell’Accademia, forma una compagnia di avanguardia insieme ad altri ex studenti contestatari, attratti, come lei, dal metodo Stanislavskj. Nel 1947 incontra il regista Citto Maselli: ha inizio una relazione fortissima, simbiotica, ma aperta a nuovi incontri, durata oltre 18 anni, e che, anche dopo la sofferta separazione, si trasfomerà in una sincera amicizia. Entrambi vivono tutto molto febbrilmente, ma Goliarda non resta in superficie e sa cogliere, in ogni situazione e persona, il risvolto poetico che poi trasporterà in letteratura. Prima di diventare scrittrice la vita di Goliarda è intensa. Frequenta ambienti esclusivi e lavora, oltre che con Maselli, con registi come Luigi Comencini, Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini e Luchino Visconti: prendendo parte attivamente alla corrente del neorealismo italiano, luogo per eccellenza di partecipazione civile, politica e morale di quel tempo. Vivendo direttamente, ma in maniera critica, il mondo artistico, impara a riconoscerne le contraddizioni e a costruirsi una personalità propria, che la scrittura letteraria fa emergere in tutta la sua potenza. Ma il suo animo, tramato da tante tessiture emotive, predisposto a grandi entusiasmi e grandi disfatte, la porta a tentare il suicidio: dapprima nel 1962 (in seguito al quale subisce una serie di elettroshock) e poi nel 1964. Dal coma che ne consegue Goliarda traghetta in tuttaltro luogo esistenziale rispetto all’ambiente di intellettuali, artisti e “cinematografari” che per tanti anni aveva esercitato su di lei un grande fascino: un luogo più luminoso, ricco e sano, in cui l’elaborazione del lutto si trasforma in rinascita e apertura alla ricchezza umana, e in capolavori come L’arte della gioia. Goliarda Sapienza muore il 30 agosto del 1996, scrittrice senza fama, ex attrice del neorealismo italiano. Ma è oggi riconosciuta tra le maggiori autrici letterarie italiane del Novecento.

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