martedì 7 agosto 2012

Da "Chi siamo e cosa vogliamo"



In quel momento solenne, in cui il magico tocco dell'arte – ammaliatrice sirena, che colora un sogno di giustizia e di bontà, che trionfa sulla morte e sulle perversità, con l'armonia e la bellezza; che riconcilia il dolore con la vita; – in quel momento solenne, in cui l'amplesso caldo dell'arte, ha reso l'uomo sincero verso se stesso; in quell'ora di improvvisa, sublime rivelazione, voi sentite tutto quella che noi vogliamo: «La libertà e la Giustizia». Solo che per amore di quieto vivere, per un malinteso spirito di conservazione non vi proponete di lavorare per la libertà e per la giustizia. Ma è poi vero, che riuscirete in tal modo ad assicurare la tranquillità della vostra esistenza? Le sventure, le miserie, le infamie che sono l'effetto della cancrena che è alla base della società, se non vi colpiscono oggi, vi colpiranno domani. Quando l'aria è intossicata, tutti ne respiriamo! Quando le acque sono avvelenate, ne bevono anche gli avvelenatori. L'odierna situazione del mondo, e soprattutto di questo paese dove si era formata la stolta illusione, che il benessere fosse stato raggiunto, e compatibile, nello stesso tempo, con l'esistenza della plutocrazia e della sedia elettrica; lo sconquasso di questo colosso d'oro, che minaccia di morir soffocato, per congestione di ricchezza, è un esempio vivo palpitante nell'ora che volge. Bisogna, dunque, non solo sentire il fascino della Libertà; non solo amare questa, che alle volte anche a noi, che la perseguiamo da anni, ben sembra un'azzurra chimera; ma necessita che ciascuno di noi dia una gemma per questo rabesco meraviglioso: offra un sacrificio per questo sogno; doni un marmo per questo edificio immortale.
Come l'albero è il trasformatore chimico dei succhi, che le radici rapiscono alla terra, e che le foglie respirano dall'aria; come il colore, il profumo e la bellezza dei fiori, sono nella fecondità della terra e nei raggi del sole, così nella società, l'artefice sommo dei suoni, dei colori, della poesia, delle Idee, non è il creatore; ma è l'assimilatore, l'interprete grande di tutto quanto vive e vibra attorno a lui. Come Dio è un assurdo perchè sarebbe venuto dal nulla, e avrebbe tutto creato dal nulla, così è assurda l'idea dell'uomo, che crea dal nulla. Dante ha rivestito di poesia sublime le lotte, le ansie, l'odio, gli amori, le leggende del tempo suo. Beethoven, Bellini, Verdi, hanno raccolto, in rapimenti armonici, il fischio di un monello, il soffio delle brezze, il sibilo delle foreste, le carezze e le collere del mare; il fragore dei torrenti, il barrito degli abissi. È dal basso che sale la linfa; è dall'intorno che soffia il respiro; è dall'alto che saettano il sole e l'azzurro; e da questi elementi prende essenza e vigore la vita. Invano, quindi, è aspettare, in messianica attesa, i salvatori o il salvatore. È dall'angoscia, dalle lotte, dal dolore, dalle aspirazioni, dal tormento, dal lavoro, dall'opra di tutti noi – gli individui, i singoli dell'immensa folla – che si determinano le condizioni essenziali, sostanziali per i rivolgimenti sociali; che si crea l'atmosfera rovente per l'eroe della rivolta; per questo fustigatore ammirevole delle pigrizie e degli adattamenti delle maggioranze; antesignano sfolgorante di luce; annunciatore immortale di prossime tempeste rivoluzionarie!

Virgilia D’Andrea nasce a Sulmona l’11 febbraio 1888 da Stefano e Nicoletta Gambascia, insegnante elementare. Orfana sin da bambina, é affidata a delle parenti religiose. La sua triste e solitaria infanzia si sviluppa in un convento in cui vige un’educazione rigidamente autoritaria e fortemente bigotta. Le uniche distrazioni per la piccola Virgilia sono le letture di Leopardi, Carducci e Ada Negri.

La prima volta che sente la parola anarchia é nel 1900, quando Umberto I muore per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Le suore vorrebbero costringere le ragazzine pregare per il “re buono”, ma Virgilia invece ha un’istintiva simpatia per Bresci, l’anarchico vendicatore.

Diplomatasi maestra elementare, nel 1909 abbandona il convento e, dopo aver conseguito la licenza definitiva, inizia l’insegnamento nei paesini ubicati intorno a Sulmona. Quest’esperienza la metterà in contatto diretto con tutta quell’umanità emarginata, povera ma dignitosa ed abbandonata dallo Stato al proprio destino.

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