sabato 6 maggio 2017

Fino all'ultima ripresa

La solitudine sono catene ai polsi ed alle caviglie del cuore, che appesantiscono l’anima per farla sprofondare sotto terra ad ogni passo compiuto. La solitudine, quella vera, è soffocante spegnersi lentamente ora dopo ora osservando la finestra, lo schermo, i libri, e non riuscendo ad aprire una pagina od a leggere delle righe di qualsiasi cosa per poterla scacciare. E’ una cappa addosso la solitudine, è luci spente anche quando corri per casa per accenderle tutte ed esorcizzare la notte, è una bottiglia che si svuota troppo presto, e poi un’altra, e poi un’altra ancora, è tabacco nicotina e di nuovo osservare le pareti bianche e la finestra scura del giorno che sta finendo. Solitudine è rileggere alla fine tutto quello che è stato passato, è parlare alla gente senza realmente comunicare niente, perchè la solitudine è una catena sistematica, che si stringe di più al petto se vogliono provare a scacciarla le persone sbagliate, perchè ha una serratura il lucchetto che ti chiude ai pensieri ed alle emozioni, è un cilindro leonardiano con dentro una pergamena e dell’acido, che a sbagliare la combinazione nessuno saprà mai che messaggio avrebbe potuto o voluto trasmettere al mondo. E ci sono persone che vogliono strappartela di dosso questa cappa di solitudine, che vogliono aprirti il lucchetto di quelle catene, ci sono persone che ti vedono chiuderti in te stesso e vogliono salvarti, aiutarti, vogliono arrogarsi il diritto inconcludente di dire “io posso farlo stare meglio”. Ma per la troppa infantile foga di volerti strappare questa cappa di dosso non notano gli uncini con cui è aggrappata alla carne, non notano i chiodi all’interno delle catene che ti avvolgono i polsi, e strattonano e strappano, e strappano e sanguini, e finisci per sorridergli un “adesso sto già meglio, ti ringrazio davvero”, sperando che ci credano per lasciarti in pace. Perchè la solitudine è un maledetto labirinto di pensieri e di ginocchia strette al petto dove non si esce andando all’esterno, ma provando a cercare all’interno le cause che l’hanno creata, con una spada fatta di orgoglio ed uno scudo per allontanare le paure del tuo passato, con il pensiero di un’altra notte da trascorrere fra finestre che si fanno sempre più scure con quei cieli stellati creati dalle luci delle case che si accendono via via, costellazioni di famiglie e di vite intrecciate accompagnate da quelle supernove dei locali dove si va a cercare la vita che non si è riusciti a trovare altrove. E la solitudine, quella sincera e vera, a volte ti porta a scrivere parole di troppo, ed a volte ti porta a volerne cancellare di più, e ritrovi vecchi quaderni diari di viaggio liste di cose da fare “prima di”, che quel “di” è arrivato, è passato, ha fatto il giro due volte e tu molte di quelle cose non le hai più fatte, perchè non sai mai quanto veloce viene il giorno prima di quel giorno, e quanto rapidamente passano i giorni dopo quel giorno senza che i tuoi piani abbiano mai preso del tutto forma, e di questo veleno la solitudine ne ha piene le zanne quando ti morde le caviglie per strapparti i tendini ed impedirti di camminare oltre. Ma come tutte le bestie, gli incubi, e le notti, anche la solitudine, quella bruciante, quella velenosa, quella artigliata che ti sussurra all’orecchio le lusinghe della libertà mentre ti mette ai polsi le catene dell’inganno, anche lei alla fine tende a svanire ogni volte che l’alba viene, tende a lasciare spazio alla routine di impegni con cui ci si deve riempire la giornata per poterla affrontare il più rapidamente possibile, così che il tempo passando non trovi altro che una macchia indistinta sull’arazzo dei giorni, e le notti un corpo ed una mente troppo stanchi per poterli aggredire. E’ un fingersi morti di fronte alla solitudine, a volte, il modo migliore per combatterla, un arrendersi a priori per non offrire spazio di manovra per aggredirti, cercando di non credere troppo a nessun segno di avvicinamento che viene offerto o presentato. Che si finisce in queste notti di solitudine davvero a buttare fuori altre parole scritte di getto, lasciando che le catene vengano a divenire parte integrante del corpo, scivolino fin dentro le ossa per indurirle, per non farti frantumare più, che la cappa diventi una seconda pelle che ti renda più refrattario alle illusioni od alla possibilità di venire toccato davvero, come fanno sempre le cose che feriscono di più: cresce il callo, e fortificano. O questo è quello che in questi momenti bisogna ostinarsi a credere.

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