giovedì 5 aprile 2018

Il complice

Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i chiodi. Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta. Mi ingannano e io devo essere la menzogna. Mi bruciano e io devo essere l'inferno. Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo. Il mio nutrimento son tutte le cose. Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo. Devo giustificare ciò che ferisce. Non importa la mia fortuna o la mia sventura. Sono il poeta.

mercoledì 31 gennaio 2018

PROFEZIA AVVERATA ?

“Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Io ho bambini, ho bambini che han fame! Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, io non chiedo altro. E questo, per taluno, è un bene, perché fa calare le paghe rimanendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati. Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù!”

sabato 27 gennaio 2018

Angelo nero

O grande angelo nero fuligginoso riparami sotto le tue ali, che io possa sorradere i pettini dei pruni, le luminarie dei forni e inginocchiarmi sui tizzi spenti se mai vi resti qualche frangia delle tue penne o piccolo angelo buio, non celestiale né umano, angelo che traspari trascolorante difforme e multiforme, eguale e ineguale nel rapido lampeggio della tua incomprensibile fabulazione o angelo nero disvélati ma non uccidermi col tuo fulgore, non dissipare la nebbia che ti aureola, stàmpati nel mio pensiero perché non c’è occhio che resista ai fari, angelo di carbone che ti ripari dentro lo scialle della caldarrostaia grande angelo d’ebano angelo fosco o bianco, stanco di errare se ti prendessi un’ala e la sentissi scricchiolare non potrei riconoscerti come faccio nel sonno, nella veglia, nel mattino perché tra il vero e il falso non una cruna può trattenere il bipede o il cammello, e il bruciaticcio, il grumo che resta sui polpastrelli è meno dello spolvero dell’ultima tua piuma, grande angelo di cenere e di fumo, miniangelo spazzacamino.

martedì 31 ottobre 2017

Lettera di Giorgio Manganelli a Viola Papetti, Roma, 16 settembre 1968

Ti scrivo e ti desidero, vorrei che ti arrivasse, che ti disturbasse gli ozi madrileni il desiderio, il puro e crudo desiderio di averti, di progettare un incontro, di fantasticare nuovi abbracci, di sentire in me e in te, il languore della saliva, del sudore, l’indulgenza e il furore delle mucose, della rosa cedevole e della rosa penetrativa. Se tu mi pensi, come spero, il tuo pensarmi ti dirà che io ti penso, e che anche desiderarti è un’arguzia, un gioco, un travestimento del pensarti. Ti penserò finché non ti sentirò, di nuovo, gemere. A presto. Ti bacio.

domenica 29 ottobre 2017

Wislawa Szymborska

"Si corrono incontro a braccia spalancate esclamano ridendo: Finalmente! Finalmente! Entrambi indossano abiti invernali, cappelli caldi, sciarpe, guanti, scarpe pesanti, ma solo ai nostri occhi. Ai loro, sono nudi.”

sabato 21 ottobre 2017

Mazzate ai poveri!

M'ero tappato in casa per una quindicina di giorni, seppellendomi in mezzo ai libri, che di quei tempi (sedici o diciassette anni fa) eran di moda; di quei libri dove s'insegna l'arte di rendere i popoli felici, savi, ricchi in ventiquattr'ore. Avevo dunque digerito o, per meglio dire, mandato giù tutte le elucubrazioni di tutti quegli appaltatori della pubblica felicità, tanto di coloro che consigliano i poveri a starsene schiavi, quanto di quegli altri, i quali voglion metter loro in testa che essi sono tanti re detronizzati.
 Non è dunque da fare le meraviglie se io mi trovavo in quei tempi in un certo stato tra la vertigine e la stupidità. Mi era parso soltanto di sentire spuntare in un cantuccio remoto del mio intelletto, ma un po' confuso, il germe di un'idea superiore a tutte le formule da donnicciole di cui avevo di fresco sfogliato il dizionario. Però non era che l'idea d'una idea, qualcosa d'infinitamente vago. E uscii di casa che avevo una gran sete, giacché l'immergersi con passione nelle cattive letture genera un gran bisogno d'aria aperta e di rinfreschi.
 Appena giunsi alla soglia di una taverna, un povero mi tese la mano, accompagnando l'atto con uno di quegli sguardi che non si dimenticano più; di quegli sguardi che rovescerebbero i troni, se lo spirito potesse muovere la materia e se l'occhio di un magnetizzatore potesse far mutare l'uva. Nel tempo stesso, udii una voce che mi bisbigliava all'orecchio, una voce nota purtroppo: era quella del buon angelo o del buon demone, che mi vien sempre a lato. Giacché Socrate aveva il suo buon demone, perché non debbo avere io un buon angelo e perché non debbo avere l'onore, come Socrate, d'ottenere il mio brevetto di pazzo con la firma del sottile Lélut e dello scaltro Baillarger? Fra il demone socratico e il mio c'è questa differenza, che quello si manifestava solo per proibire, avvertire, impedire; il mio invece scende fino a consigliare, a suggerire, a persuadere. Il povero Socrate aveva un demone buono solo a negare; il mio demone invece afferma sempre, è un demone attivo, un demone battagliero. Or la sua voce mi sussurrava così: «Eguale d'un altro è solo colui che prova a esserlo, e solo è degno della libertà colui che se la sa conquistare». 
Immediatamente saltai addosso a quel mendicante e con un pugno gli turai un occhio, che gli gonfiò subito come un uovo. Mi fracassai un'unghia, ma gli ruppi due denti; e, poiché non mi sentivo la forza di accoppare tosto quel vecchio, essendo io di complessione delicata e poco avvezzo alla lotta, lo afferrai con una mano pel collare dell'abito e con l'altra gli strinsi la gola e gli cominciai a batter forte la testa al muro. Debbo confessare che, innanzi tutto, avevo girato intorno l'occhio e m'ero accertato che in quel luogo fuori di mano non c'era pur l'ombra di un birro. Gli assestai poscia un calcio nel dorso, con tal forza da rompergli le scapole; il mal fermo vecchio stramazzò a terra ed io, dato di piglio ad un grosso ramo d'albero, lo cominciai a picchiare con l'ostinata furia d'un cuciniere che voglia rendere tenera una bistecca.
 A un tratto (o miracolo, o gioia stupenda del filosofo che prova col fatto l'eccellenza della sua teorica!) io vidi quella vecchia carcassa voltarsi, alzarsi con una forza di cui non avrei mai creduto capace una macchina sì sconquassata e, lanciandomi uno sguardo di odio feroce che mi parve di buon augurio, quel decrepito malandrino mi si gettò addosso, mi pestò tutti e due gli occhi, mi ruppe quattro denti e con quel mio pezzo di legno mi batté di santa ragione. La mia violenta medicatura gli aveva finalmente reso l'orgoglio e la vita.
 Allora gli feci capire gesticolando che consideravo chiusa la discussione e, alzatomi con aria soddisfatta, come un sofista del Portico, gli dissi: «Signore, voi siete mio eguale! Fatemi l'onore di accettare metà di quel che ho nella borsa e ricordatevi, se siete un vero filantropo, che bisogna applicare a tutti i vostri confratelli, se vi domanderanno l'elemosina, la stessa teorica che ho avuto il dolore di provar sulle vostre spalle». 
Mi diede parola che aveva capito la teorica e che avrebbe seguito i miei consigli.


sabato 12 agosto 2017

Avanti

Il denaro è il feticcio di noi tutti. Non esiste nessuno che non voglia averne. Così è, anche se non lo abbiamo mai deciso noi. Il denaro è un imperativo sociale, non è uno strumento manipolabile. In quanto potenza che ci costringe costantemente a calcolare, spendere, risparmiare, indebitarci o fare credito, il denaro ci umilia e ci domina ora dopo ora. Il denaro è una sostanza nociva senza pari. La coazione a comprare e vendere ostacola ogni liberazione ed ogni autonomia. Il denaro fa di noi dei concorrenti, ovvero dei nemici. Il denaro divora la vita. Lo scambio è una forma barbarica di condivisione. Non solo è assurdo il fatto che una miriade di professioni abbiano il denaro come unico oggetto, ma anche che tutti gli altri lavoratori intellettuali e manuali siano continuamente impegnati a calcolare e speculare. Siamo macchinette calcolatrici. Il denaro ci taglia fuori dalle nostre possibilità, permette solo ciò che è redditizio in termini di economia di mercato. Noi non vogliamo che il denaro stia a galla, ma che sparisca. Merce e denaro non sono da espropriare, ma da superare. Esseri umani, case, mezzi di produzione, natura e ambiente; in breve: niente deve essere una merce! Dobbiamo smettere di riprodurre le condizioni che ci rendono infelici. Liberazione significa che gli esseri umani ricevono i loro prodotti e i loro servizi liberamente, a seconda dei loro bisogni. Che essi si rapportino direttamente gli uni con gli altri e non si oppongano, come avviene ora, in base ai loro ruoli e interessi sociali (in quanto capitalisti, lavoratori, compratori, cittadini, persone giuridiche, inquilini, proprietari, ecc.). Già ora esistono nelle nostre vite dei rapporti non monetari: nell’amore, nell’amicizia, nella simpatia, nell’aiuto reciproco. Qui doniamo qualcosa agli altri, attingiamo insieme alle nostre energie esistenziali e culturali senza presentare fatture. Si tratta di istanti in cui sentiamo che potremmo fare a meno di matrici.

sabato 5 agosto 2017

Flor Marina

Lei era fatta di parole: occhi di luce, cuore di pioggia, piedi di insonnia, fronte di pieghe, mani di farfalla, ventre di luna. Nei giorni nuvolosi era solita restare nella stanza e, per ammazzare il tempo, giocava a ricrearsi: cuore di luce, occhi di pioggia, fronte d’insonnia, piedi di pieghe, mani di luna, ventre di farfalla. Oppure, occhi d’insonnia, cuore di luna, piedi di farfalla, fronte di luce, mani di pieghe, ventre di pioggia; oppure…

venerdì 4 agosto 2017

Specchi

Spesso negli altri amiamo solamente l'eco di tutte le frasi che non siamo mai riusciti a dirci da soli, e più che persone diventano specchi nei quali rifletterci finché ne avvertiamo il bisogno. Finiamo per amare in loro ciò che vorremmo essere, e gli doniamo solo ciò che non vogliamo più; e dopo esserci presi ciò che ci mancava e aver dato ciò che più odiavamo, ci accorgiamo che non sono più quello che erano all'inizio. E dobbiamo cercare un nuovo specchio in cui riflettere i nostri bisogni.

lunedì 31 luglio 2017

Chuck Palahniuk

Dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordare la dolcezza lo è ancora di più. La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare. Dalla quiete impariamo così poco.

sabato 22 luglio 2017

Pablo Neruda

Se saprai starmi vicino, e potremo essere diversi, se il sole illuminerà entrambi senza che le nostre ombre si sovrappongano, se riusciremo ad essere “noi” in mezzo al mondo e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere. Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo e non il ricordo di come eravamo, se sapremo darci l'un l'altro senza sapere chi sarà il primo e chi l'ultimo se il tuo corpo canterà con il mio perchè insieme è gioia. Allora sarà amore e non sarà stato vano aspettarsi tanto.

venerdì 21 luglio 2017

A Crack In Time

Ingranaggi

A volte scrivere è farsi male finché le parole non diventano grida. È tutto fuorché farsi del bene: è un chirurgico strapparsi dall'anima cose che è troppo pesante portarsi appresso, inchiodarle su un foglio, ed obbligare un altro a reggerne il carico. A dispetto delle apparenze, certi giorni scrivere è una tortura peggiore del silenzio.