
Mio padre era il secondo di quattro fratelli. il primo si chiama Ernesto e dopo di lui è nato Gaetano, ma Gaetano è nato morto. Così quando è nato mio padre lo hanno chiamato Gaetano pure a lui in omaggio a quel fratello. Ma in famiglia gli faceva impressione di chiamarlo col nome del morto ed è per questo motivo che mio padre è sempre stato chiamato Nino. A questa maniera l'abbiamo chiamato anche noi figli . Com'era mio padre da ragazzino me lo immagino abbastanza bene. Me lo immagino da quello che mi ha raccontato lui per trent'anni. E me lo immagino pure al camposanto coi genitori mentre se ne vanno a trovare questo fratello morto. E mi immagino che a mio padre gli faceva impressione di portare i fiori su una tomba , vedersi la lapide e trovarci che ci stava scritto il nome suo.
Fa impressione chiamare i vivi col nome dei morti. E fa impressione pronunciare il nome di un morto e sentire che c'è un vivo che ti risponde.
Anche mio padre ha rischiato di morire da ragazzino, ma a quel tempo era una cosa normale. "Era la vita che si faceva in quell'epoca, - diceva mio padre, - sotto i bombardamenti. La vita dei ragazzini".
Mio padre raccontava che insieme all'altri ragazzini aprivano le bombe. Tiravano fuori la polvere da sparo per farla scoppiare e sentire il botto. Una volta ha portato a casa un proiettile , ha cercato di aprirlo insieme a suo fratello Ernesto, ma il proiettile gli è scoppiato in mano. Mio zio Ernesto c'ha ancora le schegge nella coscia per quel proiettile e mio padre s'è quasi tagliato tre dita.
Ma però non è morto.
Un'altra volta ha rischiato di morire mentre raccoglieva le pigne alla pineta dell'Appio Claudio.
Mio padre stava sull'albero , è passato un tedesco e mio padre gli ha pisciato in testa. Il tedesco gli ha sparato, ma lui ha fatto in tempo a scappare e non è morto manco quella volta.
"Questa era la vita dei ragazzini", diceva mio padre.
E poi ha rischiato di farsi ammazzare il 4 giugno del 1944, il giorno che entrarono l'americani a Roma.
Nessun commento:
Posta un commento