
Il disprezzo di sé e degli altri è inerente al lavoro di sfruttamento della natura terrestre e della natura umana. Ecco perché pochi pensano ad indignarsi del fatto che sia moneta corrente negli scambi tra professori e allievi. Sarebbe illusorio credere che una pratica talmente intollerabile possa cessare per effetto di una scelta etica, di una volontà di cortesia, di qualche formula del tipo "le sarei grato di non parlarmi su questo tono". Ciò che è in gioco è una rifondazione radicale della società e di un insegnamento che non ha ancora scoperto che ogni bambino, ogni adolescente possiede allo stato bruto l'unica ricchezza dell'uomo, la sua creatività.
Come si può eccitare la curiosità in esseri tormentati dall'angoscia della colpa e la paura delle sensazioni? Certo esistono professori sufficientemente entusiasti da appassionare il loro uditorio e far dimenticare per un istante le condizioni detestabili che degradano il loro mestiere. Ma quanti, e per quanti anni?
Mettete da una parte i burocrati che terrorizzano la loro classe e ne sono a loro volta terrorizzati, e dall'altra gli artisti, saltimbanchi e funamboli del sapere, capaci di conquistare l'attenzione senza doversi mai trasformare in guarda-ciurme o in caporali.
Non si tratta qui di giudicare, né di entrare nella pratica imbecille del merito e del demerito, vituperando i primi e lodando i secondi. No, ciò che importa è far di tutto perché l'insegnamento mantenga sveglia quella curiosità naturale e così piena di vita che permise a Sheherazade il privilegio di tenere in scacco la morte di cui la minacciava un tiranno.
L'aberrazione del mondo a rovescio ha pesato per secoli sull'educazione del fanciullo.
Che tanti sforzi e fatica siano richiesti da parte del maestro e dell'allievo per ravvivare un'avidità di sapere così freneticamente espressa nella primissima infanzia dice abbastanza chiaramente che un'evoluzione è stata brutalmente interrotta. La curiosità è stata veramente soffocata in un periodo in cui essa partecipava dello sviluppo ludico dell'infanzia, quando era divertente eppure gettava le basi di una gaia scienza, incompatibile con la visione austera degli adulti, per i quali la scienza si veste della serietà degli affari e deve propagarsi tramite verità secche, noiose, astratte.
Ricordatevi delle mille domande che il bambino pone su se stesso e sul mondo che scopre con uno stupore senza fine. Perché piove? Perché il mare è blu? Perché mio fratello mi prende i giocattoli? Le risposte ricevute erano nella maggior parte dei casi solo frasi evasive e sgarbate. Finché stanco di un procedimento di cui gli veniva fatta sentire la sconvenienza, si lasciava penetrare dall'impressione di non essere né degno né capace di capire. Come se ogni tappa dello sviluppo psicologico non avesse il suo modo di comprensione adeguato.
Quando, finalmente disgustato da tante domande giudicate senza interesse, entra nel ciclo degli studi, gli si danno risposte di cui ha perduto il desiderio. Ciò che con passione aveva voluto conoscere qualche anno prima, è costretto a studiare per forza e sbadigliando di noia.
La differenza tra sensazioni di felicità e di infelicità aveva fatto nascere in lui quella coscienza sperimentale che permetteva di migliorare le prime ed evitare le altre. Sostenuta da una pedagogia parentale piena di attenzione, di sollecitudine e di affetto, una tale motivazione psicologica l'avrebbe spinto a desiderare senza fine, a volerne sapere di più, ad affrontare il mondo con una curiosità senza limiti. Per la semplice ragione che le conoscenze obbedivano allora alla più naturale delle pulsioni: rendersi felici.
Se l'insegnamento è ricevuto con reticenza, e perfino con ripugnanza, vuol dire che il sapere filtrato dai programmi scolastici porta il segno di un'antica ferita: è stato castrato della sua sensualità originaria.
La conoscenza del mondo senza la coscienza dei desideri di vita è una conoscenza morta. Essa non ha utilità che al servizio dei meccanismi che trasformano la società secondo le necessità dell'economia. I lenimenti che essa procura alla sorte degli uomini, non li cede che a malincuore, e sotto la minaccia di un rigore futuro che ne cancellerà gli effetti.
Dopo aver strappato lo scolaro alle sue pulsioni di vita, il sistema educativo si industria per ingozzarlo artificialmente allo scopo di immetterlo sul mercato del lavoro, dove continuerà a ripetere stentatamente il leitmotiv dei suoi anni giovanili fino al disgusto: vinca il migliore!
Vincere che cosa? Più intelligenza sensibile, più affetto, più serenità, più lucidità su se stesso e sul mondo, maggiori mezzi di agire sulla propria esistenza, più creatività? Niente affatto, più denaro e più potere, in un universo che ha usato il denaro e il potere a forza di essere usato da loro.
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