Piuttosto bisogna credere che la natura, dando agli uni di più agli altri di meno, abbia voluto porre le condizioni per un affetto fraterno che tutti potessero esercitare, avendo gli uni la forza di recare aiuto, gli altri bisogno di riceverne. Così dunque questa buona madre ha dato a tutti noi la terra da abitare, mettendoci in certo modo in un'unica grande casa, ci ha fatti tutti con lo stesso impasto così che ognuno potesse riconoscersi nel proprio fratello come in uno specchio. Se dunque a tutti noi ha fatto il grande dono della parola per comunicare, diventare sempre più fratelli e arrivare tramite il continuo scambio delle nostre idee ad una comunione di volontà; se ha cercato in tutti i modi di stringere sempre più saldamente il vincolo che ci lega in un patto di convivenza sociale; se insomma sotto ogni punto di vista ha mostrato chiaramente di averci voluti non solo uniti ma addirittura una cosa sola, allora non c'è dubbio che tutti siamo liberi per natura, poiché siamo tutti compagni e a nessuno può venire in mente che la natura, dopo averci messi tutti quanti insieme come fratelli, abbia potuto porre qualcuno nella condizione di servo.
Ma forse non vale la pena discutere se la libertà sia naturale, dato che è impossibile tenere qualcuno in schiavitù senza fargli un grande torto e nessuna cosa al mondo è più contraria alla natura, dove tutto è razionale, della ingiustizia. Dunque la libertà è naturale e a mio giudizio siamo nati non solo padroni della nostra libertà ma anche dotati della volontà di difenderla. Ora se per caso qualcuno nutrisse ancora dei dubbi su questo e si fosse talmente depravato da non riconoscere più neppure i beni della propria natura umana e gli affetti che gli sono originari, è necessario rendergli l'onore che si merita e mettergli in cattedra per così dire le bestie prive di ragione che gli possano insegnare quale sia la sua natura e la sua condizione.
Sì le bestie stesse, per Dio, a meno che gli uomini vogliano fare i sordi, continuamente gridano: viva la libertà! Infatti la maggior parte degli animali muore appena catturata. Come il pesce muore appena lo si toglie dall'acqua così tutti gli animali chiudono gli occhi alla luce del mondo piuttosto che continuare a vivere dopo aver perso la loro naturale condizione di libertà. E se gli animali avessero tra loro diversi gradi d'importanza penso che l'esser liberi costituirebbe la loro massima nobiltà. Altri animali, dal più grande fino al più piccolo, quando li si vuol prendere oppongono una tale resistenza con le unghie, le corna, il becco o i piedi, che dimostrano in modo evidente quanto sia loro caro ciò che stanno per perdere. Poi, una volta catturati, danno chiari segni di malessere e si può benissimo notare che dal momento della cattura il loro non è un vivere ma un languire, e stanno in vita più per lamentarsi della libertà perduta che per rassegnazione alla prigionia. E quando l'elefante, dopo essersi difeso fino all'estremo delle forze, non avendo più via di scampo ed essendo oramai sul punto di essere preso, si avventa con le mascelle contro gli alberi e si spezza le zanne, non dimostra forse il suo grande desiderio di restare libero com'è per natura, cercando di venire a patti con i cacciatori e di lasciar loro i suoi denti pur di riuscire ad andarsene e in cambio dell'avorio riacquistare la libertà? E così il cavallo; appena nato lo addestriamo a servire, ma nonostante tutte le nostre attenzioni e carezze, quando lo vogliamo domare dobbiamo ricorrere ai colpi di sperone per fargli mordere il freno, quasi volesse far vedere alla natura che se deve servire non lo fa di suo istinto ma per costrizione altrui.
Sì le bestie stesse, per Dio, a meno che gli uomini vogliano fare i sordi, continuamente gridano: viva la libertà! Infatti la maggior parte degli animali muore appena catturata. Come il pesce muore appena lo si toglie dall'acqua così tutti gli animali chiudono gli occhi alla luce del mondo piuttosto che continuare a vivere dopo aver perso la loro naturale condizione di libertà. E se gli animali avessero tra loro diversi gradi d'importanza penso che l'esser liberi costituirebbe la loro massima nobiltà. Altri animali, dal più grande fino al più piccolo, quando li si vuol prendere oppongono una tale resistenza con le unghie, le corna, il becco o i piedi, che dimostrano in modo evidente quanto sia loro caro ciò che stanno per perdere. Poi, una volta catturati, danno chiari segni di malessere e si può benissimo notare che dal momento della cattura il loro non è un vivere ma un languire, e stanno in vita più per lamentarsi della libertà perduta che per rassegnazione alla prigionia. E quando l'elefante, dopo essersi difeso fino all'estremo delle forze, non avendo più via di scampo ed essendo oramai sul punto di essere preso, si avventa con le mascelle contro gli alberi e si spezza le zanne, non dimostra forse il suo grande desiderio di restare libero com'è per natura, cercando di venire a patti con i cacciatori e di lasciar loro i suoi denti pur di riuscire ad andarsene e in cambio dell'avorio riacquistare la libertà? E così il cavallo; appena nato lo addestriamo a servire, ma nonostante tutte le nostre attenzioni e carezze, quando lo vogliamo domare dobbiamo ricorrere ai colpi di sperone per fargli mordere il freno, quasi volesse far vedere alla natura che se deve servire non lo fa di suo istinto ma per costrizione altrui.
Che dire ancora?
«Il bue stesso sotto il giogo si lamenta e geme l'uccellin rinchiuso in gabbia»
«Il bue stesso sotto il giogo si lamenta e geme l'uccellin rinchiuso in gabbia»
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