
Da tanti anni divorata,
tagliata, ritagliata, i rami costretti a destra e a manca,
mi slanciai, fiorendo, minuti fiori bianchi
sopra gli steccati fisso in viso le persone.
Mi guardano le api, mi ha preso in mano il vento.
Forte e aspro è il mio gusto, rigogliose le mie fronde.
Si acciglia la gente, se vede che metto ancora una radice.
Scriverò della stagione del
pericolo. Mi rinchiusero in ospedale perché si era aperto un grande squarcio nel
banco di ghiaccio fra me e gli altri che guardavo allontanarsi alla deriva,
insieme al loro mondo, su un mare color malva dove pesci martello dal languore
tropicale nuotavano fianco a fianco con le foche e gli orsi polari. Ero sola
sulla banchisa. Si era levato un vento gelido di tormenta e io mi sentivo
intorpidita e mi venne voglia di stendermi a dormire e lo avrei fatto, se non
fossero arrivati gli sconosciuti con forbici e borse di tela piene di pidocchi e
flaconi di veleno con etichette rosse, e altri pericoli di cui non mi ero mai
resa conto prima – specchi, camici, corridoi, mobili, metri quadrati, pezze
intere di silenzio – in tinta unita e a quadri, campioni gratuiti di voci. E gli
sconosciuti, senza parlare, innalzarono tende di calicò e si accamparono insieme
a me.
Janet
Frame
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