
L'idea che il destino dell'uomo sia di dominare la natura non è affatto un tratto universale della cultura umana. Quanto meno, quest'idea è completamente estranea alla concezione del mondo propria alle comunità cosiddette primitive o preletterate. Non mi stancherò mai di sottolineare che questo concetto è emerso molto gradualmente in seno ad una più vasta trasformazione sociale: il progressivo dominio dell'uomo sull'uomo. Il crollo dell'uguaglianza primordiale, sostituita da un sistema gerarchico d'ineguaglianze, la disintegrazione dei gruppi di parentela primitivi in classi sociali, la dissoluzione delle comunità tribali in città ed infine l'usurpazione dell'amministrazione sociale da parte dello Stato, sono tutti fattori che hanno concorso a modificare profondamente non solo la vita sociale ma anche l'atteggiamento reciproco delle persone, la visione che l'umanità aveva di se stessa e, infine, il suo atteggiamento verso il mondo naturale. Per molti aspetti, ci arrovelliamo ancor oggi con i problemi scaturiti da queste trasformazioni generali. Solo se esaminiamo gli atteggiamenti di certe popolazioni preletterate possiamo, forse, valutare fino a che punto il dominio abbia finito con il plasmare oggi i pensieri più intimi e le più minute azioni dell'individuo.
Sino a poco tempo fa, il dibattito sulla concezione del mondo delle società preletterate era complicato dall'opinione che le operazioni logiche di quelle popolazioni fossero nettamente diverse dalle nostre. Parlare di ciò che e stata definita la "mentalità primitiva" come di un fenomeno "prelogico", per usare l'infelice termine di Levy-Bruhl, o di "pensiero non lineare", come è stato recentemente definito nel linguaggio della mistica mitopoietica, e frutto di una lettura preconcetta della sensibilità sociale primitiva. Da un punto di vista formale, in realtà, le società preletterate erano e sono obbligate, nell'occuparsi degli aspetti più mondani dell'esistenza, a pensare proprio nel nostro stesso modo "lineare". Nonostante i loro limiti in termini di saggezza e di concezione del mondo, le operazioni logiche convenzionali sono necessarie alla sopravvivenza: le donne raccoglievano i frutti, gli uomini forgiavano gli strumenti per la caccia ed i bambini inventavano i loro giochi secondo procedure logiche strettamente affini alle nostre. Non e questa somiglianza formale tuttavia che più mi interessa nell'esaminare la concezione che il mondo preletterato ha della società. Ciò che e significativo nelle differenze di prospettiva tra noi ed i popoli preletterati e che, mentre questi ultimi pensano come noi in senso strutturale, il loro pensiero si forma in un contesto culturale fondamentalmente diverso dal nostro. Anche se le loro operazioni logiche possono essere formalmente identiche alle nostre,
i loro valori differiscono qualitativamente dai nostri. Quanto più procediamo a ritroso verso le comunità senza classi economiche e senza Stato politico comunità che possono ben essere definite società organiche per la forte solidarietà interna e con il mondo naturale tanto maggiori prove troviamo di una visione della vita che si rappresenta le persone, le cose e le relazioni in termini di unicità anziché in base ad una loro "superiorità" o "inferiorità". Per queste comunità gli individui e le cose non erano necessariamente migliori o peggiori, ma semplicemente dissimili.
Ognuno veniva valutato per se stesso, per le sue caratteristiche uniche. Il concetto di autonomia individuale non aveva ancora acquisito la " sovranità " fittizia assunta oggi.
Il mondo veniva percepito come un insieme composto da molte parti differenti, ognuna delle quali indispensabile alla sua unità ed armonia. L'individualità, finché non entrava in conflitto con l'interesse comunitario da cui dipendeva la sopravvivenza di tutti, era vista più in termini di interdipendenza che di indipendenza. La diversità, all'interno della più vasta trama comunitaria, era considerata un carattere fondamentale dell'unità sociale.
Nelle varie società organiche in cui prevale ancora questa concezione, concetti come "uguaglianza" e "libertà", restano indefinibili. Come osserva Borothy Lee con acuta sensibilità :
L'uguaglianza esiste nella natura stessa delle cose, come corollario alla struttura democratica della cultura e non come principio che deve essere applicato. In queste società non ci si prefigge l'uguaglianza come obiettivo da raggiungere, ed in realtà non esiste neppure il concetto stesso d'uguaglianza. Spesso, manca persino un qualsivoglia meccanismo per formulare paragoni. Ciò che si riscontra e un rispetto assoluto per l'uomo, per tutti gli individui indipendentemente dal sesso e dall'età.
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