lunedì 25 marzo 2013

DISCORSO SULLA SERVITU' VOLONTARIA

L'educazione insomma lascia sempre la sua impronta malgrado le tendenze naturali. I semi del bene che la natura mette dentro di noi sono così piccoli e fragili che non possono resistere al benché minimo impatto con un'educazione di segno contrario. Inoltre non è semplice conservarli poiché con molta facilità si chiudono in sé, degenerano e finiscono in niente, né più né meno degli alberi da frutta che hanno ognuno la loro particolarità e la mantengono se li si lascia crescere in modo naturale, ma perdono ben presto le loro caratteristiche e producono frutti estranei se si operano degli innesti. Perfino ogni erba ha le sue proprietà naturali; tuttavia il gelo, il tempo, il terreno e la mano del giardiniere influiscono molto sulla loro qualità, sia nel peggiorarla che nel migliorarla: una pianta vista in un dato luogo, in un altro si riconosce a fatica. Chi vedesse i veneziani, questo piccolo popolo, vivere una vita così libera che il più meschino tra loro non si sognerebbe di diventare re, nati e allevati in modo tale da avere una sola ambizione, quella di dare ognuno miglior prova dell'altro nel conservare gelosamente la libertà; educati fin dalla culla in questo senso così che non cederebbero neppure un'oncia della loro libertà in cambio di tutte le altre felicità della terra; ebbene dicevo, chi vedesse questa gente e poi se ne andasse nelle terre di colui che chiamiamo gran signore trovandovi un popolo nato per servire e votato per tutta la vita a mantenere il suo potere, riuscirebbe mai a pensare che gli uni e gli altri sono della stessa natura o piuttosto non crederebbe di essere uscito da una città di uomini per entrare in un parco di animali? Si dice che Licurgo, il legislatore di Sparta, avesse allevato due cani, tutti e due fratelli e allattati dalla stessa cagna, tenendone uno a ingrassare in cucina e abituando l'altro a correre nei campi al suono dellatromba e del corno. Volendo far vedere agli spartani che gli uomini sono come li fa l'educazione, portò i cani in piazza e mise loro vicino una minestra e una lepre: il primo si buttò sulla scodella, l'altro corse dietro alla lepre. Eppure - concluse Licurgo - sono fratelli! Così questo grand'uomo con le sue leggi seppe dare una tale educazione agli spartani che ciascuno di loro avrebbe avuto più caro morire mille volte piuttosto che riconoscere altro signore all'infuori della legge e della ragione. A questo proposito vorrei ricordare la conversazione che si tenne tra uno dei più alti rappresentanti di Serse, il grande re dei persiani, e due spartani. Durante i preparativi per la conquista della Grecia, Serse mandò i suoi ambasciatori nelle città di quella regione a chiedere l'acqua e la terra (formula con la quale i persiani erano soliti intimare alle città di sottomettersi). Ma ad Atene e Sparta non ne inviò ricordandosi che quando Dario suo padre li aveva voluti mandare, furono buttati dagli ateniesi in un fosso e dagli spartani in un pozzo e si sentirono rivolgere: «Prendete pure da qui tutta l'acqua e la terra che volete e portatela al vostro re». A tal punto giungeva la loro insofferenza anche per la più piccola parola che suonasse offesa alla loro libertà. Tuttavia per aver agito in questo modo gli spartani si accorsero di aver provocato l'ira degli dei, soprattutto di Taltibio, dio dei messaggeri. Allora per rabbonire Serse pensarono di mandargli due cittadini perché li trattasse a suo arbitrio e potesse così vendicarsi degli ambasciatori che erano stati uccisi a suo padre. Due spartani, l'uno chiamato Sperto l'altro Buli, si offrirono volentieri per andare a pagare di persona questo debito. Giunsero così al palazzo di un persiano chiamato Gidarno, luogotenente del re per tutte le città della costa asiatica. Costui fece loro grandi onori e conversando su vari argomenti con i suoi ospiti ad un certo punto chiese per quale motivo rifiutassero così decisamente l'amicizia del suo grande re. E aggiunse: «Guardate me per esempio e noterete allora come il re sa ricompensare coloro che se ne rendono degni; credetemi, se vi metteste al suo servizio si comporterebbe allo stesso modo anche verso di voi. Son sicuro che se vi conoscesse ognuno di voi diventerebbe signore di una città della Grecia». «In queste cose Gidarno non puoi darci alcun consiglio - risposero gli spartani - perché tu hai gustato il bene che ci prometti ma non conosci quello che godiamo noi. Tu hai provato i favori del re, ma non sai che sapore abbia la libertà e quanto essa sia dolce. Se l'avessi anche solo sfiorata tu stesso ci consiglieresti di difenderla non soltanto con la lancia e lo scudo ma con le unghie e i denti». Solo gli spartani erano nel giusto; ma è certo che gli uni e gli altri parlavano come erano stati educati. Era infatti impossibile al funzionario persiano rimpiangere la libertà non avendola mai provata, così come gli spartani non potevano sottomettersi al giogo avendola gustata appieno.

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