"Lo Stato è
l'organizzazione della mandria che debba aggredire o
difendersi contro un'altra mandria parimenti organizzata. La guerra
motiva e stimola tutta la mandria fino ai livelli più bassi e
remoti. Tutte le attività della società vengono collegate il più
velocemente possibile allo scopo principale, quello di preparare l'attacco
o la difesa militare, e lo Stato diventa ciò che in tempi di
pace ha cercato invano di diventare... Poi si dà l'avvio e la nazione
si muove lentamente e fiaccamente, ma accelerando e integrandosi
sempre di più, verso il gran finale, verso la serenità della
guerra." (Randolph Bourne , The State, New York 1919,1945)
Ecco perché
l'indebolimento dello Stato, il progressivo sviluppo delle sue
imperfezioni è una necessità sociale. Il rafforzamento di altre forme di
impegno, di centri di potere alternativi, di modelli diversi di comportamento umano, è essenziale per la
sopravvivenza. Ma da dove iniziare? Dovrebbe essere ovvio che non si può
cominciare con il sostenere i partiti esistenti, associandovisi o
sperando di cambiarli dall'interno, né con il fondarne di nuovi per
partecipare alla lotta per il potere. Il nostro compito non è di prenderci
il potere, bensì di eroderlo, di risucchiarlo via dallo Stato.
"La burocrazia e
lo Stato accentratore hanno tanto poco a che fare con il
socialismo quanto l'autocrazia con il regime capitalista. In un modo o
nell'altro, il socialismo deve diventare più popolare, più
comunalista e meno dipendente dal governo 'indiretto' per il tramite
dei rappresentanti eletti. Deve mirare all'autogoverno." (Kropotkin, Modern Science and Anarchism,
cit.)
In altre parole, dobbiamo
costruire strutture reticolari e non piramidali. Tutte le istituzioni
autoritarie sono organizzate come piramidi: lo Stato, la grande
impresa privata o pubblica, l'esercito, la polizia, la Chiesa, l'università,
l'ospedale, sono tutte strutture piramidali con al vertice un
piccolo gruppo di persone che prendono le decisioni e alla base la
gran massa della gente per la quale decide tutto il piccolo gruppo
sovrastante. L'anarchismo non predica la sostituzione delle
etichette sui vari strati della piramide, non ha alcun
interesse nell'alternarsi di gente diversa al vertice. Propone una
rete estesa di individui e di gruppi, ciascuno dei quali prenda le
proprie decisioni e si renda artefice del proprio destino.
I pensatori classici
anarchici immaginarono l'intera organizzazione sociale come un insieme di
gruppi locali simili: la comune quale nucleo territoriale
("non una diramazione dello Stato, bensì la libera associazione di
tutti i membri interessati, che può essere un'entità cooperativa,
professionale, o semplicemente un'unione provvisoria di più persone
unite da una necessità comune ") e il sindacato, o
consiglio operaio, quale unità produttiva. Queste unità si
aggregherebbero non come le pietre di una piramide, dove lo strato più
basso deve sopportare il peso maggiore, ma come le maglie di una rete ,
una rete di gruppi autonomi.
Numerose categorie
concettuali concorrono alla definizione della teoria sociale anarchica,
tra le altre quelle dell'azione diretta, di autonomia, di autogestione, di
decentramento e di federalismo.
L'espressione "azione diretta" fu coniata dal sindacalismo rivoluzionario francese alla fine del diciannovesimo secolo ed era strettamente associata alle varie forme di resistenza del mondo operaio militante quali lo sciopero semplice, lo sciopero a singhiozzo, l'applicazione alla lettera del contratto di lavoro da parte dei lavoratori, il sabotaggio e lo sciopero generale. Da allora il significato si è andato estendendo fino a comprendere, ad esempio, la disobbedienza civile di Gandhi, la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti e numerose forme di iniziativa autonoma che si stanno diffondendo in tutto il mondo.
L'espressione "azione diretta" fu coniata dal sindacalismo rivoluzionario francese alla fine del diciannovesimo secolo ed era strettamente associata alle varie forme di resistenza del mondo operaio militante quali lo sciopero semplice, lo sciopero a singhiozzo, l'applicazione alla lettera del contratto di lavoro da parte dei lavoratori, il sabotaggio e lo sciopero generale. Da allora il significato si è andato estendendo fino a comprendere, ad esempio, la disobbedienza civile di Gandhi, la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti e numerose forme di iniziativa autonoma che si stanno diffondendo in tutto il mondo.
Più recentemente, David
Weich ha definito l'azione diretta come "quell'azione che in una
data situazione raggiunge lo scopo desiderato nella misura in cui questo
sia nei limiti delle proprie capacità o di quelle del proprio gruppo, a
differenza dell'azione indiretta, che realizza uno scopo
irrilevante se non addirittura contraddittorio, presumibilmente come mezzo
per raggiungere il fine 'buono'."
Al proposito fa questo
esempio: "Se il macellaio pesa la carne mettendo il pollice sulla
bilancia, è possibile che qualcuno reclami sostenendo che è un ladro
e che deruba i poveri; se però continua a farlo, e i clienti non fanno
altro che lamentarsi, tanto varrebbe che se ne stessero zitti.
Si può
invece chiedere l'intervento di una commissione di controllo e
questa sarebbe un'azione indiretta; oppure si può insistere sul diritto di
pesare la propria carne, portando la propria bilancia per controllare le pesate
del macellaio, oppure comprare la carne da qualche altra parte, oppure unirsi ad
altri per formare una cooperativa: queste sarebbero tutte azioni
dirette". (David Wieck, The Habit of
Direct Action, " Anarchy", n.13, London 1962)
Wieck nota che "se
presumiamo che in ogni situazione, ogni individuo e gruppo è
sicuramente in condizioni di procedere a qualche forma di azione
diretta, ci possiamo facilmente rendere conto di molte cose che ci erano
sfuggite, e dell'importanza di molti elementi che avevamo finora
sottovalutato". Pensiamo in un modo talmente
"politico" e legato alle mosse delle istituzioni
governative che i risultati dei tentativi diretti di
modificare il proprio ambiente non vengono presi in considerazione.
L'attitudine all'azione diretta è, forse, identica a quella che porta
a riconoscersi come uomo libero, disposto a vivere in modo responsabile in
una società libera.
Le idee di autonomia, di
controllo delle fabbriche da parte di chi ci lavora e di
decentramento non sono separabili da quella d'azione diretta. Nello Stato
moderno, un gruppo di persone impone le sue decisioni, esercita il
controllo, limita le scelte, mentre la grande maggioranza della gente
deve per forza accettare quelle decisioni, sottomettersi a quel
controllo e agire nei limiti di quelle scelte imposte da fuori.
L'attitudine all'azione diretta equivale alla
disposizione di chi vuole strappare a loro il potere di
prendere decisioni per nostro conto. L'autonomia del
lavoratore nello svolgimento del suo lavoro è l'ambito più
importante in cui espropriare quei pochi del potere decisionale.
Quando si parla di
controllo dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori, la gente di
solito sorride tristemente e sostiene che, purtroppo, le dimensioni e la
complessità dell'industria fanno di quella ipotesi un sogno utopico,
assolutamente impraticabile in un'economia sviluppata. Chi pensa così
ha torto. Non ci sono ragioni tecniche a impedire il controllo dal basso.
Gli ostacoli all'autogestione nell'industria sono gli stessi ostacoli che
impediscono qualsiasi redistribuzione equa dei beni nella società, e cioè gli
interessi irremovibili di coloro che la redistribuzione attuale del
potere e della proprietà rende privilegiati.
Alla stessa stregua, il
decentramento non è tanto un problema tecnico quanto un modo di vedere
i problemi dell'organizzazione umana. Argomentazioni a sostegno del
decentramento potrebbero fondarsi su semplici motivi economici,
ma per l'anarchico la rivendicazione dell'azione diretta e
dell'autonomia semplicemente preclude la via a ogni altra
soluzione. Non gli viene in mente di cercare soluzioni centraliste, così
come a chi pensa in modo autoritario e accentratore non
vengono in mente alternative decentratrici.
Goodman, un fautore del
decentramento osserva che: Sono sempre esistiti due filoni di pensiero a
favore del decentramento. Certi scrittori, ad esempio Lao-Tse e Tolstoj,
fanno una critica conservatrice e contadina della corte e della
città accentratrice come strumenti inorganici , verbosi e
ritualistici. Altri invece, ad esempio Proudhon e Kropotkin, fanno
una critica democratica e urbana della burocrazia e del
potere centralizzato, ivi compreso il potere industrial-feudale,
riconoscendovi un meccanismo inefficiente, teso a
scoraggiare l'iniziativa e fondato sullo sfruttamento.
Nell'epoca attuale del socialismo di stato, del feudalesimo industriale,
della pubblica istruzione standardizzata, delle comunicazioni di massa
(con relativo lavaggio di massa del cervello), dell'anomia urbana, ecc.,
entrambe le critiche sono giustificabili. Bisogna resuscitare sia l'autosufficienza contadina
sia il potere democratico delle vecchie corporazioni professionali e
tecniche( le gilde). Qualsiasi decentramento al giorno d'oggi
dev'essere per forza post-urbano e post-accentratore, senza per questo
essere provinciale.(Paul Goodman , Like a Conquered Province , New York
1967)
La sua conclusione è che
il decentramento è un "modo di organizzazione sociale che non
necessita l'isolamento geografico ma piuttosto un impiego oltremodo
sociologico della geografia". Appunto perché a loro non interessava
proporre l'isolamento geografico, i pensatori anarchici si
sono molto occupati del principio federalista. Proudhon lo
considerava il perno delle sue idee politiche ed economiche. Non pensava
né a una confederazione di stati né a un governo federale mondiale, bensì
a un principio fondamentale dell'organizzazione umana. La filosofia
federalista di Bakunin, ribadiva quella di Proudhon, aggiungendo però
che solo il socialismo avrebbe potuto investirla di un contenuto
veramente rivoluzionario; anche Kropotkin attinse alla storia della
Rivoluzione francese, alla Comune di Parigi e, nei suoi ultimi anni,
all'esperienza della Rivoluzione russa, al fine di illustrare
l'importanza del principio federalista perché una rivoluzione mantenga
il suo orientamento rivoluzionario.
Azioni dirette autonome,
decisioni decentrate e libera federazione hanno
caratterizzato tutte le insurrezioni veramente popolari. Staughton
Lynd ha affermato che "non si è mai avuta nessuna rivoluzione
-in America nel 1776, in Francia nel 1789, in Russia nel 1917, in Cina
nel 1949- senza che delle istituzioni popolari sorgessero spontaneamente
dal basso e cominciassero ad amministrare il potere rimpiazzando le
istituzioni sino ad allora ritenute legittime. Tali istituti di democrazia
diretta caratterizzarono anche le insurrezioni tedesche del
1919, quali la Repubblica consiliare di Monaco, la Rivoluzione
spagnola del 1936, quella ungherese del 1956 , o la primavera di
Praga del 1968... e tutti quanti vennero distrutti dallo stesso
partito che era salito al potere nel 1917 con lo slogan
profondamente anarchico "Tutto il potere ai soviet". Nel
marzo 1920, quando i bolscevichi avevano già trasformato i soviet
locali in organi dell'amministrazione centrale, Lenin disse a
Emma Goldman: "Sai che persino il tuo grande amico Errico Malatesta
si è dichiarato a favore dei soviet ? ". "Si",
ribatté lei, "a favore dei soviet LIBERI."
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