On the road, 1957 - Il manoscritto originale, circa 36 metri e 125 mila parole. Kerouac compose la sua opera su un rotolo di carta continuo, incollando insieme le pagine con un nastro adesivo al fine di poter alimentare senza interruzione la macchina da scrivere e lavorare senza fermarsi. Completò il romanzo in venti giorni dattilografando e scrivendo senza interruzioni.
E
fu quella sera che Dean incontrò Carlo Marx. Quando Dean conobbe Carlo Marx successe qualcosa di
formidabile. Due menti acute come quelle, si attaccarono l'una all'altra in un
batter d'occhio. Due pupille penetranti guardarono dentro a due penetranti pupille: il serafico imbroglione dalla mente brillante, e il dolente
imbroglione poetico dalla mente oscurata che è Carlo Marx. Da quel momento in
poi vidi Dean assai di rado, e mi dispiacque anche un po'. Le loro
energie si incontrarono a testa bassa, io al confronto era un pagliaccio, non potevo tener loro
dietro. Tutto quel pazzo sconvolgimento di ogni cosa che stava per verificarsi
ebbe inizio allora; avrebbe travolto tutti i miei amici e tutto quel che m'era
rimasto della mia famiglia in una grossa nube di polvere sopra la Notte d'America.
Carlo gli raccontò del vecchio Bull Lee, di Elmer Hassel, di Jane: Lee che
coltivava tabacco nel Texas, Hassel nell'isola di Riker, Jane che vagava per
Time Square in preda ad allucinazioni da benzedrina, con la sua
piccola in braccio, e andava a finire al Bellevue. E Dean
raccontò a Carlo di gente sconosciuta nel West come Tommy Snark, lo storpio
stranamente angelico, campione di biliardo e giocatore di carte di mestiere.
Gli raccontò di Roy Johnson, di Ed Dunkel il Grosso dei suoi compagni di
infanzia, dei suoi compagni di strada, delle innumerevoli ragazze e orge e film
pornografici, dei suoi eroi, eroine, avventure. Correvano insieme per le
strade, assorbendo tutto in quella primitiva maniera che avevano, e che più
tardi diventò tanto più triste e ricettiva e vuota. Ma allora danzavano lungo
le strade leggeri come piume, e io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta
la mia vita con la gente che m'interessa, perché per me l'unica gente possibile
sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per
essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono
un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali
color giallo che esplodono come ragni traverso le stelle e nel mezzo si
vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno "Ooohhh!".
Come chiamavano i giovani di questo genere nella Germania di Goethe?
Intensamente desideroso d'imparare a scrivere come Carlo, fin dal primo momento
Dean l'aveva investito con una grande anima amorosa quale solo un truffatore di
professione può avere. "Su, Carlo, lasciami parlare... ecco cosa intendo dire..." Non li vedi per circa due settimane, durante
le quali essi rinsaldarono i loro rapporti che raggiunsero diaboliche proporzioni
di chiacchierate che duravano tutto il giorno e tutta la notte. Poi venne la
primavera, l'epoca dei viaggi per eccellenza, e tutti nella compagnia dispersa
si prepararono a fare questo o quel viaggio. Io mi affannavo a lavorare al mio romanzo
e quando arrivai a metà, dopo un viaggio nel Sud con mia zia per far visita a
mio fratello Rocco, mi preparai ad andare nel West per la primissima volta. Dean
era già partito. Carlo e io l'avevamo accompagnato alla partenza alla stazione
della Greyhound nella 34ma Strada. Di sopra c'era un posto dove si potevano
fare le fotografie per un quarto di dollaro. Carlo si levò gli occhiali e prese
un aspetto sinistro. Dean si lasciò ritrarre di profilo, guardandosi
timidamente in giro. Io mi feci una foto di faccia che mi' faceva sembrare un
italiano trentenne pronto a uccidere chiunque avesse detto qualcosa contro sua
madre. Quella foto, Carlo e Dean la tagliarono esattamente nel mezzo con un
rasoio e ne conservarono una metà ciascuno nel portafogli. Dean indossava un autentico completo da pomeriggio alla moda
occidentale per il suo grande viaggio di ritorno a Denver; il suo primo tentativo
a New York era finito. Dico tentativo, però lui non aveva fatto altro che
lavorare nei parcheggi come un cane. Il più fantastico custode di posteggi al
mondo, capace di far fare marcia indietro a una
macchina a settanta chilometri l'ora in una
strettoia inverosimile fermandosi al muro, balzare fuori, correre in mezzo ai
parafanghi, saltare su un'altra macchina, farla girare in tondo a ottanta chilometri l'ora in uno spazio ristretto, indietreggiare di volata in un posticino invisibile, vamm, bloccare la
macchina col freno a mano così che si poteva vederla rimbalzare mentre lui schizzava
fuori; poi sparire nel gabbiotto dei biglietti, scattando come un asso del
podismo, porgere un biglietto, saltare dentro a una
macchina sopraggiunta prima che il proprietario ne fosse completamente uscito, scivolargli letteralmente di sotto mentre quello sta uscendo, avviare la macchina con lo sportello aperto
che sbatte e partire rombando verso il punto libero più vicino, una giravolta,
infilarcisi rapido, frenare, fuori, via; e così senza soste otto ore ogni
notte, nelle ore di punta serali e in quelle dopo il teatro, in pantaloni bisunti
color vino e con una sdrucita giacchetta orlata di pelo e logore scarpe ciabattanti. Adesso per tornare a casa
s'era comprato un abito nuovo: blu a strisce color piombo,
giacca e tutto: undici dollari nella Terza Avenue, con orologio e la catena per l'orologio, e una
macchina per scrivere portatile con la quale si proponeva di incominciare a scrivere in una casa d'affitto a Denver appena avesse trovato un lavoro laggiù. Facemmo una cena d'addio a base di salsicce e fagioli da Riker nella Settima Avenue, e poi Dean salì sull'autobus
sul quale stava scritto Chicago e spari rombando nella
notte. Così se ne andò il nostro eroe. Io mi ripromisi di avviarmi nella stessa direzione quando la primavera fosse sbocciata sul serio e avesse
schiuso la terra. E fu così, veramente, che ebbe inizio tutta la mia esperienza
della strada, e le cose che stavano per capitare sono troppo fantastiche per non raccontarle.
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