Velimir Chlebnikov, co Esenin and Mariengov, 1920
Dal sacco
rovinarono al suolo le cose.
E io penso che il mondo
è solo un sogghigno
che balena fioco
sulla bocca di un impiccato.
rovinarono al suolo le cose.
E io penso che il mondo
è solo un sogghigno
che balena fioco
sulla bocca di un impiccato.
*
Quando di me sarò poi stanco
mi getterò nel sole d'oro,
mi vestirò di un'ala strombazzante,
il vizio mescolerò col sacro.
Sono morto, sono morto e è sgorgato il sangue
sulla corazza, un gran torrente.
Sono tornato in me, in altro modo, nuovamente,
guardandovi con occhi di guerriero.
mi getterò nel sole d'oro,
mi vestirò di un'ala strombazzante,
il vizio mescolerò col sacro.
Sono morto, sono morto e è sgorgato il sangue
sulla corazza, un gran torrente.
Sono tornato in me, in altro modo, nuovamente,
guardandovi con occhi di guerriero.
*
Poco, mi serve.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.
Manoscritto originale
Mentre muoiono, i cavalli respirano,
mentre muoiono, le erbe intristiscono,
mentre muoiono, i soli si spengono,
mentre muoiono, gli uomini cantano.
mentre muoiono, le erbe intristiscono,
mentre muoiono, i soli si spengono,
mentre muoiono, gli uomini cantano.
*
La
stazione di polizia è una gran cosa!
È il punto d’incontro tra me e il governo.
E al governo torna in mente
Che quel punto esiste ancora.
È il punto d’incontro tra me e il governo.
E al governo torna in mente
Che quel punto esiste ancora.
*
Ci
sono scritture-vendetta.
È pronto il mio pianto,
la tormenta turbina a fiocchi,
e corrono silenziosi gli spiriti.
Sono crivellato dalle lance
di una voracità spirituale,
forato da lance di bocche fameliche.
La vostra fame chiede di mangiare
e nel paiuolo di pesti squisite
la vostra fame chiede cibo:
ecco il petto di uno scroccone!
E crollo come il chan Kucùm
sotto le lance di Ermàk.
La fame delle lance arriva
a infilzare, sarchiare il manoscritto.
Ah, riconoscere nel carretto ambulante
le perle di persone da me amate!
Perché ho fatto cascare questo fascio di pagine?
Perché sono bislacco e maldestro?
Non è una burla di mandriani infreddoliti
l'incendio - boia dei manoscritti:
ovunque la scure intaccata
e faccine di versi sgozzati.
Tutto ciò che un triennio ci ha offerto,
fascio di canti da arrotondare di cento,
e un cerchio di persone a tutti note,
ovunque, ovunque corpi di zarèvici sgozzati,
ovunque, ovunque la maledetta Úglic!
È pronto il mio pianto,
la tormenta turbina a fiocchi,
e corrono silenziosi gli spiriti.
Sono crivellato dalle lance
di una voracità spirituale,
forato da lance di bocche fameliche.
La vostra fame chiede di mangiare
e nel paiuolo di pesti squisite
la vostra fame chiede cibo:
ecco il petto di uno scroccone!
E crollo come il chan Kucùm
sotto le lance di Ermàk.
La fame delle lance arriva
a infilzare, sarchiare il manoscritto.
Ah, riconoscere nel carretto ambulante
le perle di persone da me amate!
Perché ho fatto cascare questo fascio di pagine?
Perché sono bislacco e maldestro?
Non è una burla di mandriani infreddoliti
l'incendio - boia dei manoscritti:
ovunque la scure intaccata
e faccine di versi sgozzati.
Tutto ciò che un triennio ci ha offerto,
fascio di canti da arrotondare di cento,
e un cerchio di persone a tutti note,
ovunque, ovunque corpi di zarèvici sgozzati,
ovunque, ovunque la maledetta Úglic!
*
Noi invitiamo a venire nel paese dove gli alberi parlano, dove le
associazioni scientifiche somigliano alle onde, dove sono dislocate le truppe
primaverili dell’amore, dove il tempo fiorisce come un ciliegio selvatico e
spinge come uno stantuffo, dove l’oltreuomo in grembiule da muratore sega le
epoche in tante assi e maneggia il proprio domani come un tornitore (Oh,
equazioni dei baci – voi! Oh raggio della morte, ucciso dal raggio della
morte, posto sul pavimento dell’onda). Noi ci dirigiamo là, giovani, e a un
tratto qualcuno che è morto, che è ossuto, ci afferra e ci impedisce di mutar
pelle, di uscire dalle penne di uno stupido oggi. È forse bello?
Velimir Chlebnikov, La tromba dei marziani
Velimir Chlebnikov
Biografia, a cura di Marco Ercolani
Velimir
Vladimirovic Chlebnikov nasce nel 1885 nei pressi di Astrachan. Il padre è
agricoltore e ornitologo. Viaggia a lungo tra la Russia e l'Oriente e studia
matematica all'università di Kazan. Nel 1908, a Pietroburgo, frequenta
l'ambiente letterario e conosce Ivanov, Gorodeckij, Kuzmin. Nel 1912 GIOCO
ALL'INFERNO, scritto a quattro mani con il poeta transmentale Alexej Krucenych.
Nel 1913 pubblica I TRE, in memoria di Elena Guro, con testi dello stesso
Krucenych e della Guro. Nel settembre dello stesso anno, ancora in coppia con
Krucenych, pubblica LA PAROLA COME TALE, delle note di poetica in cui sostiene
che "la lingua, se deve somigliare a qualcosa, più di tutto deve
assomigliare alla freccia avvelenata del selvaggio". Nel 1916 è arruolato
nell'esercito zarista. Durante la guerra civile è in Ucraina. Arrestato, è
rinchiuso in un ospedale psichiatrico di Char'kov. Gli anni 1918-1922 sono i
più fecondi e felici per il poeta. Vagabonda per il paese, messo sottosopra
dalla rivoluzione. Assorbe gli umori delle masse e della rivoluzione. Vaga
vestito di cenci per le steppe del Caspio. Bighellona nella calca dei bazar di
Char'kov. È ricoverato per scabbia a Tsaritsyn. Ascolta interminabili
discussioni letterarie nella stanza di Maiakovskij a Mosca. Lavora
incessantemente ai suoi "prodotti semicompiuti", alle sue
"poesie per poeti". Si porta con sé - unica ricchezza - la bisaccia
con i fogli, a volte solo i frammenti, dei suoi manoscritti, che regolarmente
smarrisce nelle case degli amici o nei luoghi dove si trova fortunosamente a
dormire, a volte in stalle o vagoni ferroviari, a volte sul duro pavimento o
nel muschio dei boschi. In quegli anni scrive la maggior parte delle sue opere,
fra cui almeno tredici lunghi poemi (NOTTE IN TRINCEA, LADOMIR, RAZIN, LA NOTTE
PRIMA DEI SOVIET, PERQUISIZIONE NOTTURNA, ZANGEZI, etc..) e decine di poesie,
articoli, note. Quasi nessuno dei suoi scritti viene pubblicato. Chlebnikov
esiste come leggenda per i poeti. Majakovskij lo chiama "Colombo dei
continenti poetici" e scrive: "Chlebnikov ha creato un intero sistema
periodico delle parole: prendendo una parola con forme non sviluppate, non
note, e confrontandola con una parola sviluppata, dimostra l'ineluttabile
necessità della comparsa di parole nuove". Definito il Lomonosov della
poesia moderna russa e "l'unico poeta epico del XX secolo", espone
agli occhi dei contemporanei una personalità suggestiva, bislacca, innocente e
folle, che attrae ancora di più dei suoi versi. Visionario monomane, medita sui
destini della poesia e dell'universo. Le sue fantasie poetiche si intrecciano a
ragionamenti mistico-matematici che mescolano la Cabala, la ricerca di un
linguaggio "stellare" universale, l'utopia dell'Eterno Femminino, il
mito della "parola autonoma". Per lui non esistono limiti alla forza
plasmante delle parole. Nei suoi DECRETI SUI PIANETI scrive che "il sole
obbedisce alla sua sintassi". Chlebnikov appare sempre più come un santo e
un veggente, esempio del più alto "disinteresse" verso la propria
esistenza quotidiana. In anni in cui la vita di ogni giorno acuisce in tutti
l'istinto di conservazione, il poeta traversa l'orlo della miseria e del
disastro con la naturalezza di un fanciullo, leskoviano "viaggiatore
incantato". In una lettera che risale agli anni '20 scrive: "Sono un
dervis, un joga, un marziano, tutto, ma non un fante di un reggimento di
complemento".
Benché
Chlebnikov venga considerato un poeta epico, il suo epos è fantastico e non
trova echi profondi e riconoscibili nel movimento storico dei suoi anni.
L'unico elemento epico è l'ansia di trasformazione della parola in quanto tale,
la metamorfosi dei segni e delle lettere. La sua creazione, in un certo senso,
è un poema discontinuo e ininterrotto - materiale inesauribile per
l'immaginazione dei poeti. La sua protesta contro le vecchie forme, nella
letteratura come nella vita, si esprime da un lato nei neologismi verbali,
nella "fusione" delle parole, nella "foresta arcaica" della
lingua, e dall'altro negli intriganti sogni utopici (le "città di
vetro", i paradisi agricoli, la fratellanza tra i popoli). La sua poesia guarda
a un futuro che affonda le sue radici nel passato, come spesso si augurerà
Mandel'stam parlando della poesia russa contemporanea. L'autore dei QUADERNI DI
VORONEZ scrive di lui:
"Chlebnikov è cittadino di tutta la storia, di tutto il sistema del linguaggio e della poesia. Una specie di Einstein idiota, il quale non sappia distinguere se sia più vicino un ponte ferroviario o il Canto della schiera di Igor'. La poesia di Chlebnikov è idiota nel senso autentico, greco, non offensivo della parola".
"Chlebnikov è cittadino di tutta la storia, di tutto il sistema del linguaggio e della poesia. Una specie di Einstein idiota, il quale non sappia distinguere se sia più vicino un ponte ferroviario o il Canto della schiera di Igor'. La poesia di Chlebnikov è idiota nel senso autentico, greco, non offensivo della parola".
Ripellino
commenta a sua volta:
"L'arte
di Chlebnikov oscilla tra gli accorgimenti di un primitivismo allusivo e le
macchinose visioni dell'avvenire, quasi sempre enunciate al passato. Già la sua
posa di mago e profeta e astrologo è connessa con questo sentimento del
primordiale. In versi che hanno una gaia pastoralità da balletto egli inventa
una Russia pagana, un'arcadia slava".
Racconta
di lui Kornelij Zelinskij:
"Una
volta (si era nel 1920) incontrai Velimir Chlebnikov a una serata di poesia che
era stata organizzata con lui da Esenin e Mariengof, giunti a Charkov. Quella
sera Velimir, con la barba e i capelli incolti, vestito da una goffa
palandrana, lento nei movimenti come una sonnambula, fu consacrato Presidente
del Globo terrestre".
Nei primi anni '20 Chlebnikov è nel Caucaso. Lavora a Baku, presso un'Agenzia Telegrafica. Nel 1921 è in Persia per tenere corsi di cultura politica. Tornato in patria, lavora come guardiano notturno a Pjatigorsk. Quindi si trasferisce a Mosca, dove vive in estrema miseria. Per abitudine, infila i suoi versi nelle federe dei guanciali dei letti dove si trova avventurosamente a dormire, e come un sonnambulo, nel suo vagare nomadico, spesso li dimentica. Durante uno dei suoi viaggi da vagabondo in un vagone ferroviario, è colpito da setticemia e muore, nel 1922. Se è vero, come suggerisce un suo verso, che "vi sono scritture-vendetta", la scrittura poetica di Chlebnikov è, ai giorni nostri, un inesausto atto di vendetta contro l'arcadia delle forme e l'annuncio di un poema discontinuo e interminabile, tuttora da scrivere per ogni poeta.
Nei primi anni '20 Chlebnikov è nel Caucaso. Lavora a Baku, presso un'Agenzia Telegrafica. Nel 1921 è in Persia per tenere corsi di cultura politica. Tornato in patria, lavora come guardiano notturno a Pjatigorsk. Quindi si trasferisce a Mosca, dove vive in estrema miseria. Per abitudine, infila i suoi versi nelle federe dei guanciali dei letti dove si trova avventurosamente a dormire, e come un sonnambulo, nel suo vagare nomadico, spesso li dimentica. Durante uno dei suoi viaggi da vagabondo in un vagone ferroviario, è colpito da setticemia e muore, nel 1922. Se è vero, come suggerisce un suo verso, che "vi sono scritture-vendetta", la scrittura poetica di Chlebnikov è, ai giorni nostri, un inesausto atto di vendetta contro l'arcadia delle forme e l'annuncio di un poema discontinuo e interminabile, tuttora da scrivere per ogni poeta.
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