mercoledì 21 novembre 2012

Lunga vita alla pecora nera


Ma ora arrivo al punto che a mio avviso costituisce l'origine nascosta del dominio, il sostegno e il fondamento della tirannia. Chi pensa che le alabarde, le sentinelle, le squadre di ronda proteggano il tiranno secondo me si sbaglia di grosso. Credo che gli siano d'aiuto più come cerimoniale o come spauracchio che non per la fiducia che dovrebbe avere in tutto questo apparato di difesa. Gli arcieri impediscono di entrare a palazzo agli sprovveduti senza mezzi, non a chi è ben armato e agli uomini d'azione. Tra gli imperatori romani è facile contare quei pochi che sono riusciti a salvarsi da qualche pericolo per l'aiuto dei loro soldati più fedeli, al contrario di tutti coloro, e sono la maggior parte, che sono stati uccisi dalle loro stesse guardie del corpo. Non sono gli squadroni a cavallo, non sono le schiere di fanti, non sono insomma le armi a difendere il tiranno; capisco che al primo momento è difficile crederlo ma è così. Sono sempre cinque o sei persone che lo mantengono al potere e gli tengono tutto il paese in schiavitù. E' sempre stato così: questi cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno e, sia perché si son fatti avanti da soli sia perché il tiranno stesso li ha chiamati, sono diventati complici delle sue crudeltà, compagni dei suoi divertimenti, ruffiani dei suoi piaceri, soci nello spartirsi il frutto delle ruberie. Questi sei personaggi inoltre tengono vicino a sé seicento uomini dei quali approfittano facendo di loro quel che han fatto del tiranno. I seicento a loro volta ne hanno seimila sotto di sé ai quali conferiscono onori e cariche, fanno assegnare loro il governo delle province oppure l'amministrazione del denaro pubblico così da ottenerne valido sostegno alla propria avarizia e crudeltà, una volta che costoro abbiano imparato a mettere in atto le varie malefatte al momento opportuno; d'altra parte facendone di ogni sorta questi seimila possono mantenersi solo sotto la protezione dei primi e sfuggire così alle leggi e alla forca. E dopo tutti questi la fila prosegue senza fine: chi volesse divertirsi a dipanare questa matassa si accorgerebbe che non seimila ma centomila, anzi milioni formano questa trafila e stanno attaccati al tiranno, proprio come afferma Giove che nel racconto di Omero si vanta di poter tirare a sé tutti gli dei dando uno strattone alla catena. Da qui venne l'aumento di potere al senato sotto Giulio Cesare, l'istituzione di nuove funzioni e la creazione dei vari incarichi; a ben vedere non certo per riorganizzare la giustizia ma per dare nuovi punti di appoggio alla tirannia. Insomma tra favori e protezioni, guadagni e colpi messi a segno, quanti traggono profitto dalla tirannia son quasi pari a coloro che preferirebbero la libertà. E' come quando, dicono i medici, in una parte del nostro corpo c'è qualcosa di infetto: se in un altro punto si manifesta un piccolo male subito si congiunge alla parte malata. Così appena il re diventa tiranno tutta la feccia del regno, e non intendo con questa un branco di ladruncoli conosciuti da tutti che in una repubblica possono fare ben poco, sia in bene che in male, bensì tutti coloro che sono posseduti da un'ambizione senza limiti e da un'avidità sfrenata, si raggruppano attorno a lui e lo sostengono in tutti i modi per aver parte al bottino e diventare essi stessi tanti piccoli tiranni sotto quello grande. Allo stesso modo si comportano i grandi ladri e i famosi corsari: gli uni fanno scorribande per il territorio, gli altri pedinano i viaggiatori; i primi tendono imboscate, i secondi stanno in agguato; questi trucidano e quelli spogliano; e pur essendoci tra loro vari ranghi in ordine d'importanza, i primi semplici esecutori, gli altri capi della banda, alla fine però non c'è nessuno di loro che non abbia avuto la sua parte, se non proprio al bottino principale, almeno a qualche frutto delle rapine. Si racconta che i pirati della Cilicia si raccolsero una volta in così gran numero che si rese necessario mandare contro di loro Pompeo il grande; non solo, ma riuscirono perfino a trascinare nella loro alleanza molte città tra le più belle e popolose; nei loro porti trovavano rifugio dopo le varie scorribande e come ricompensa vi lasciavano una parte del bottino che quelle città si erano impegnate a custodire.
Così il tiranno opprime i suoi sudditi, gli uni per mezzo degli altri, e viene difeso proprio da chi, se non fosse un buono a nulla, dovrebbe temere di essere attaccato; secondo il detto che per spaccare la legna ci vogliono dei cunei dello stesso legno. Ed ecco i suoi arcieri, le sue guardie, i suoi alabardieri; certo qualche volta anch'essi sono trattati male dal tiranno, ma questi miserabili abbandonati da Dio e dagli uomini sono contenti di sopportare dei danni pur di rifarsi non già su colui che ne è la causa ma su tutti quelli che come loro sopportano senza poter far nulla. Eppure vedendo questa gente che striscia ai piedi del despota per trarre profitto dalla sua tirannia e dalla servitù del popolo, spesso mi stupisce la loro malvagità, altre volte invece è la loro stupidità che mi fa pena. Perché, diciamo la verità, che altro può significare avvicinarsi al tiranno se non allontanarsi dalla propria libertà e abbracciare anzi, per meglio dire, tenersi stretta la servitù? Mettano un momento da parte la loro ambizione, lascino perdere un poco la loro avarizia, poi guardino e considerino attentamente se stessi: vedranno chiaramente che questi contadini e paesani che essi mettono sotto i piedi appena possono e trattano peggio dei galeotti e degli schiavi, benché maltrattati in questo modo, al loro confronto sono tuttavia più felici e in un certo senso più liberi. Il contadino e l'artigiano, per quanto siano asserviti, una volta fatto quanto è stato loro ordinato sono a posto; ma quelli che il tiranno vede vicino a sé, veri e propri birbanti sempre a mendicare i suoi favori, sono obbligati non solo a fare quello che dice ma anche a pensare come lui vuole e spesso per accontentarlo devono sforzarsi di indovinare i suoi desideri. Non è sufficiente che gli obbediscano: devono compiacerlo in tutto faticando e distruggendosi fino alla morte nel curare i suoi interessi; inoltre devono godere dei suoi piaceri, abbandonare i propri gusti per i suoi, andar contro il proprio temperamento fino a spogliarsene del tutto. Sono obbligati a misurare le parole, la voce, i gesti, gli sguardi; devono avere occhi, piedi, mani sempre all'erta a spiare ogni suo desiderio e scoprire ogni suo pensiero.
E questo sarebbe un vivere felice? Si può chiamare vita codesta? C'è al mondo qualcosa che risulti essere più insopportabile di una simile situazione non dico per una persona di nobili origini ma semplicemente per chiunque abbia un po' di buon senso o quantomeno un'ombra di umanità?
Quale condizione è più miserabile di questa, in cui non si ha niente di proprio ma tutto, benessere, libertà, perfino, la vita stessa, viene ricevuto da altri?
Costoro vogliono servire per accumulare dei beni come se quello che guadagnano fosse loro, mentre non possono dire di possedere neppure se stessi. E come se qualcuno potesse avere qualcosa di suo sotto un tiranno vorrebbero dirsi proprietari di quanto hanno ammassato, dimenticando che sono loro stessi a dargli la forza di togliere tutto a tutti e di non lasciare nulla a nessuno. Essi sanno che è l'avidità dei beni il motivo per cui gli uomini vengono assoggettati alla sua crudeltà, che al suo cospetto non vi è delitto più grande del possedere qualcosa; sanno che il tiranno ama solo la ricchezza e spoglia di preferenza i ricchi, eppure si presentano davanti a lui come montoni al macellaio per mostrarsi ben pieni e pasciuti ed eccitare le sue voglie. Questi favoriti dovrebbero ricordarsi non solo di quei cortigiani che hanno messo da parte molti beni stando vicini al tiranno ma anche di tutti coloro che, dopo aver accumulato per un certo periodo, alla fine hanno perso i beni e la vita stessa; dovrebbero aver presente non solo i tanti che hanno guadagnato ricchezze ma anche i pochi che sono riusciti a mantenersele. Si facciano scorrere tutte le storie antiche, si ripensi al tempo passato di cui possiamo avere memoria; si vedrà chiaramente quanto è grande il numero di coloro che dopo essersi conquistati con ogni mezzo indegno la fiducia dei principi, o per aver troppo favorito la loro malvagità, oppure per aver abusato della loro ingenuità, alla fine sono stati annientati da quegli stessi principi che tanto facilmente li avevano prima innalzati quanto poi improvvisamente decisero di abbatterli. E veramente nel gran numero di persone che hanno circondato cattivi re ve ne sono state ben poche, per non dire nessuna, che non abbiano provato su se stesse una volta o l'altra la crudeltà del tiranno che in precedenza avevano aizzato contro gli altri; e spesso dopo essersi arricchiti delle spoglie altrui all'ombra del trono sono finiti ad arricchire altri delle proprie spoglie.

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