Cos'era che non dovevo più fare ?
Evidentemente non dovevo più tralasciare di comperare ciò che le offerte impongono a tutti di comprare.
Se si è capito che le offerte di oggi sono comandamenti, non ci si sorprende più che anche coloro che, veramente, non potrebbero permettersi l'acquisto,acquistino lo stesso le merci offerte. Cosa che fanno appunto perchè ancor meno potrebbero permettersi il lusso di non ubbidire ai comandamenti, ossia di non procurarsi le merci. E da quando in qua il richiamo del dovere ha risparmiato coloro che sono privi di mezzi? E da quando in qua il dovere si è arrestato davanti ai have-nots?
Come, secondo Kant, si deve compiere il proprio dovere anche quando, anzi proprio quando contrasta con le nostre inclinazioni, così lo si deve compiere oggi, anche quando contrasta con il nostro "avere"; anzi, particolarmente allora.
Anche gli imperativi delle offerte sono categorici. E quando annunciano il loro must, il richiamo alla situazione precaria del proprio dare-e-avere è puro sentimentalismo.
E' vero che non c'è forse nulla che abbia importanza tanto fondamentale nella vita psichica dell'uomo odierno, quanto la differenza tra ciò che non si può permettere e ciò che non si può permettere di non avere; e che questa differenza diventa una reale "lotta".
Se c'è un " conflitto di doveri" caratteristico dell'uomo moderno , è questa lotta che infuria selvaggia e logorante nel cuore del cliente e in seno alla famiglia.
Perchè anche se l'oggetto della lotta ci può apparire sciocco e la lotta stessa una variante farsesca di conflitti più nobili - ciò non diminuisce la sua asprezza ; e basterebbe a costituire il conflitto fondamentale di una tragedia borghese del giorno d'oggi.
Di solito finisce , com'è noto, con la vittoria del " comandamento della offerta" ; cioè con l'acquisto della merce. Ma la vittoria si paga cara; perché ora per il cliente comincia l'asservimento, l'impegno di far fronte al pagamento delle rate dell'oggetto acquistato.
Ma, pagato che sia o che ne restino da pagare le rate, quando il compratore ha l'oggetto , vuole anche godere del suo avere. E poiché può godere del suo avere soltanto se usa l'oggetto, lo usa perché lo ha ; e con ciò ne diventa lo schiavo.
Ma non soltanto per questo . Dal momento che ha la merce , la possibilità di averla senza sfruttarla al massimo non va neppure presa in considerazione da un punto di vista morale.
Accendere il televisore solo qualche volta , usare la radio solo occasionalmente, significherebbe rinunciare volontariamente , e senza beneficio di nessuno, a qualche cosa per cui si è dato un acconto o che si è già pagato, ossia sprecarlo .
Ma non basta. Quel che si ha , non lo si usa soltanto, ma se ne sente anche il bisogno. Non si finisce con avere ciò di cui si sente il bisogno, ma si finisce con sentire il bisogno di ciò si ha. Lo stato dei beni posseduti si consolida volta a volta e si stabilizza psicologicamente , diventando stato normale. Cioè: se viene a mancare un dato articolo, un tempo posseduto, non si forma soltanto una lacuna ; ne nasce la sete.
Ma qualche cosa manca sempre : perché per fortuna ( e per calcolo ) della produzione tutte le merci sono beni che, se anche non sono beni di consumo nel senso più stretto del pane e del vino, si consumano con l'uso; alla loro mancanza provvede dunque la persona stessa che le usa. Dunque, se aveva un oggetto e lo ha consumato , ne ha bisogno di nuovo: il bisogno segue alle calcagna il consumo. E in un certo senso il bisogno odierno somiglia alla tossicomania ; con il che si vuol dire che i bisogni devono la loro esistenza e il loro modo di essere alla esistenza fattuale di determinate merci.
Nessun commento:
Posta un commento