martedì 11 settembre 2012

Günther Anders

Cos'era che non dovevo più fare ?
Evidentemente  non dovevo più tralasciare  di comperare  ciò che le offerte impongono  a tutti di comprare.
Se si è capito  che le offerte di oggi sono comandamenti, non ci si sorprende più che anche coloro che, veramente, non potrebbero permettersi l'acquisto,acquistino lo stesso le merci offerte. Cosa che fanno appunto perchè ancor  meno potrebbero  permettersi il lusso di non ubbidire ai comandamenti, ossia di non procurarsi le merci. E da quando in qua  il richiamo del dovere  ha risparmiato coloro che sono privi di mezzi? E da quando  in qua  il dovere  si è arrestato davanti ai have-nots?
Come, secondo Kant, si deve compiere  il proprio dovere anche quando, anzi proprio quando contrasta con le nostre inclinazioni, così lo si deve compiere oggi, anche quando contrasta  con il nostro "avere"; anzi, particolarmente allora.
Anche gli imperativi delle offerte sono categorici. E quando annunciano il loro must, il richiamo alla situazione precaria  del proprio dare-e-avere è puro sentimentalismo.
E' vero che non c'è forse nulla che abbia importanza tanto fondamentale nella vita psichica dell'uomo odierno, quanto la differenza tra ciò che non si può permettere  e ciò che non si può permettere di non avere; e che questa differenza  diventa una reale "lotta".
Se c'è un " conflitto di doveri" caratteristico dell'uomo moderno , è questa lotta che infuria  selvaggia  e logorante  nel cuore del cliente e in seno alla famiglia.
Perchè anche se l'oggetto  della lotta  ci può apparire  sciocco  e la lotta  stessa una variante  farsesca  di conflitti più nobili - ciò non diminuisce  la sua asprezza ; e basterebbe  a costituire il conflitto fondamentale di una tragedia  borghese del giorno d'oggi.
 Di solito  finisce , com'è noto, con la  vittoria del " comandamento della offerta" ; cioè con l'acquisto della merce. Ma la vittoria si paga cara; perché ora  per il cliente  comincia l'asservimento, l'impegno di far fronte  al pagamento delle rate dell'oggetto acquistato.
Ma, pagato che sia  o che ne restino da pagare le rate, quando  il compratore ha l'oggetto , vuole anche godere del suo avere. E poiché  può godere del suo avere  soltanto se usa l'oggetto, lo usa perché lo ha ; e con ciò ne diventa lo schiavo.
Ma non soltanto per questo . Dal momento che ha la merce , la possibilità  di averla  senza sfruttarla al massimo  non va neppure presa in considerazione da un punto di vista morale.
Accendere il televisore solo qualche volta , usare la radio solo occasionalmente, significherebbe  rinunciare volontariamente , e senza beneficio di nessuno, a qualche  cosa per cui si è dato  un acconto o che si è già pagato, ossia sprecarlo .
Ma non basta. Quel che si ha , non lo si usa soltanto, ma se ne sente anche il bisogno.  Non si finisce con avere  ciò di cui si sente il bisogno, ma si finisce con sentire  il bisogno  di ciò  si ha. Lo stato dei beni posseduti  si consolida  volta a volta  e si stabilizza  psicologicamente , diventando stato normale. Cioè: se viene  a mancare un dato articolo, un tempo posseduto, non si forma soltanto  una lacuna ; ne nasce la sete.
Ma qualche  cosa manca sempre :  perché per fortuna ( e per calcolo )  della produzione  tutte le merci  sono beni che,  se anche non sono beni di consumo nel senso più stretto del pane  e del vino,  si consumano con l'uso; alla loro mancanza  provvede  dunque la persona stessa che le usa.  Dunque, se aveva  un oggetto e lo ha consumato , ne ha bisogno di nuovo: il bisogno  segue alle calcagna  il consumo. E in un certo senso il bisogno odierno  somiglia alla tossicomania ; con il che si vuol dire che i bisogni  devono la loro esistenza  e il loro modo  di essere  alla esistenza  fattuale  di determinate merci.

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