Fu proprio là, nella corsia di un ospedale, che aprii gli occhi e vidi un letto accanto al mio; il primo giorno si ha una sensazione spiacevole e volgare e i piccoli disagi non fanno bene al cuore. Ma la notte, la notte, aumenta lo spessore del dolore con le sue presenze; la notte, il cuore è gonfio la notte, e i lamenti dei malati riempiono le stanze. Ma stranamente il giorno dopo prima che arrivino i parenti si fa un poco di ironia persino sui lamenti e il letto accanto al mio, con dentro un uomo grosso e un po’ volgare, diventa una presenza singolare.
“Gildo, come faccio, mi vergogno, dovrei andare…” E Gildo, il grosso Gildo, mi insegna da sdraiato come devo fare. E intanto a pochi metri di distanza si fatica a respirare. Sono le innocenti stonature di un salotto, sono i piccoli fastidi, i gesti un po’ meschini che fanno l’uomo veramente brutto. Ma in ospedale dove la perdita è totale dove lo schifo che devi superare è quello di aiutare un uomo a vomitare. Dove non c’è più nessuna inibizione dal vomito al sudore, alla defecazione e allora salti il piano se lo sai saltare e entri in un altro reparto dell’amore.
“Gildo, io vorrei che all’insaputa delle suore…” E Gildo, il grosso Gildo, mi passa di nascosto qualche cosa da mangiare. E intanto a pochi metri di distanza un uomo muore. Si parla poco e piano per diverse ore e a notte alta quell’ospite agghiacciante vien portato via e riprende indisturbato e noncurante il ritmo della corsia. I piccoli disagi, l’ho già detto, non fanno bene al cuore, ma il senso della morte è sempre stato troppo forte. Gildo, non l’ho mai saputo immaginare, chissà perché improvvisamente diventa elementare, potrà sembrare irriverente, ma qualche ora dopo ridevamo tutti per niente. Ma a scanso di fraintesi, non è il cinismo mestierante e fastidioso dei dottori, ma il senso della vita che ti spinge fuori.
“Gildo, mi dispiace, son guarito, devo andare…” E Gildo, che naturalmente mai più nella mia vita c'avrò il gusto di incontrare, nasconde, questa volta con vergogna, il suo dolore.
Il cielo azzurro e teso e le mie gambe strane, senza peso. Attraversavo il giardino tremante come in un sogno riposante. Gli occhi delle nuove madri luccicavano e i grossi seni sotto le vestaglie biancheggiavano. Solitario avvertivo quel candore, quell’aria di purezza e il cielo era azzurrino e c’era un po’ di brezza e stranamente
un senso d’amore che non so dire...
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