
Ancora ti prospera il fogliame intorno al
cuore
e una fresca presa di sale
impregna il tuo sguardo.
Di me nessuno vuol sapere,
di chi io sia la spezia
e di quale amore la durata.
Spesso canta il lupo nel mio sangue
e allora l'anima mia si apre
in una lingua straniera.
Luce, dico allora, luce di lupo,
dico, e che non venga nessuno
a tagliarmi i capelli.
Mi annido in briciole straniere
e sono a me parola sufficiente.
Effimero, mi dico,
perché presto cesserà ogni annidare,
e scorre via il resto di ogni ora.
e una fresca presa di sale
impregna il tuo sguardo.
Di me nessuno vuol sapere,
di chi io sia la spezia
e di quale amore la durata.
Spesso canta il lupo nel mio sangue
e allora l'anima mia si apre
in una lingua straniera.
Luce, dico allora, luce di lupo,
dico, e che non venga nessuno
a tagliarmi i capelli.
Mi annido in briciole straniere
e sono a me parola sufficiente.
Effimero, mi dico,
perché presto cesserà ogni annidare,
e scorre via il resto di ogni ora.
(Mariella Mehr)
Mariella Mehr
Vittima dell’opera svizzera Kinder der
Landstrasse (Bambini di strada), la Mehr – come molti altri figli del
“popolo errante” – è stata tolta alla madre nella primissima infanzia, lasciata
in custodia a famiglie affidatarie, orfanatrofi, istituti psichiatrici, ha
subìto violenze, stupri, elettroshock, e a 18 anni, come era accaduto a sua
madre le hanno tolto il figlio e l’hanno resa sterile.
Mariella Mehr, vive da molti anni in Italia, il centro della sua scrittura è la denuncia della persecuzione del suo popolo (di origine jenische, una comunità gitana), persecuzione portata avanti dal governo svizzero, della quale si sapeva pochissimo fino alla fine degli anni Ottanta.
Le poesie accompagnano l’opera narrativa di Mariella Mehr dal 1998 e sono un visionario, a volte allucinato appello all’ascolto. Un grido lanciato spesso sul confine della follia e che molto si riconosce nei versi di un’altra poetessa dell’esilio e della persecuzione, Nelly Sachs.
Un grido di dolore che, come quello della Sachs, non cerca consolazione nel linguaggio, ma usa la lama del paradosso per far emergere nei paesaggi, nei corpi, bagliori di senso, per aprire un varco dentro la spietatezza del reale.
Mariella Mehr, vive da molti anni in Italia, il centro della sua scrittura è la denuncia della persecuzione del suo popolo (di origine jenische, una comunità gitana), persecuzione portata avanti dal governo svizzero, della quale si sapeva pochissimo fino alla fine degli anni Ottanta.
Le poesie accompagnano l’opera narrativa di Mariella Mehr dal 1998 e sono un visionario, a volte allucinato appello all’ascolto. Un grido lanciato spesso sul confine della follia e che molto si riconosce nei versi di un’altra poetessa dell’esilio e della persecuzione, Nelly Sachs.
Un grido di dolore che, come quello della Sachs, non cerca consolazione nel linguaggio, ma usa la lama del paradosso per far emergere nei paesaggi, nei corpi, bagliori di senso, per aprire un varco dentro la spietatezza del reale.
Anna Ruchat
Kinder der
Landstrasse
Nel progetto di bonifica sociale pianificato dalla
Svizzera negli anni ’20 rientrò anche la persecuzione degli zingari, qui
conosciuti come Jenish. Nel 1926 venne approvato il programma proposto dalla
'Pro Juventute', la principale associazione svizzera di assistenza all’infanzia,
per sradicare dal suolo elvetico il nomadismo. Denominato 'Kinder der
Landstrasse' ("bambini della strada"), il programma puntava alla sistematica
sottrazione di bambini ai loro genitori naturali, al fine di affidarli a
famiglie "per bene", conventi, orfanotrofi, centri di correzione che avrebbero
dovuto loro imporre il modello di cittadinanza "civile" ed il costume della
sedentarietà. Qui i bambini venivano sottoposti ad un regime di rigide misure
disciplinatorie e costretti con la forza, perfino con vere e proprie torture
fisiche, a "collaborare".
Intanto una legge proibiva il matrimonio tra Jenish, punendolo con la prigione, e molti adulti vennero internati come vagabondi, criminali e psicopatici. In questo l’opera fu supportata dal lavoro compiuto dagli scienziati svizzeri negli anni ’20 e ’30, che, pienamente concordi col pregiudizio tradizionale della criminalità congenita degli zingari e con l’ideologia degenerazionista, finiranno per abbracciare apertamente le fantasie del Wandertrieb. A sostenerle, tra gli altri, anche Alfred Siegfried, ideatore e direttore del progetto, che ancora nel 1964, vaneggiando sulla ereditarietà etnica del nomadismo, incitava ad un intervento repressivo nei confronti degli Jenish.
Nelle istituzioni di internamento psichiatrico, in cui finiranno comunque anche molti bambini, si praticarono numerose sterilizzazioni, che rientravano appunto nel programma di genocidio culturale. Solo nel 1972 i sistemi utilizzati nel 'Kinder der Landstrasse' divennero di pubblico dominio, attraverso la denuncia del settimanale "Der Schweizerischer Beobachter". L’anno successivo la 'Pro Juventute' decise di sospendere l’opera di sedentarizzazione forzata degli Jenish, ma nonostante questo, e nonostante le istituzioni svizzere avessero ormai riconosciuto la propria responsabilità, ancora nel 1988 un centinaio di Jenish erano rinchiusi in cliniche e manicomi
Intanto una legge proibiva il matrimonio tra Jenish, punendolo con la prigione, e molti adulti vennero internati come vagabondi, criminali e psicopatici. In questo l’opera fu supportata dal lavoro compiuto dagli scienziati svizzeri negli anni ’20 e ’30, che, pienamente concordi col pregiudizio tradizionale della criminalità congenita degli zingari e con l’ideologia degenerazionista, finiranno per abbracciare apertamente le fantasie del Wandertrieb. A sostenerle, tra gli altri, anche Alfred Siegfried, ideatore e direttore del progetto, che ancora nel 1964, vaneggiando sulla ereditarietà etnica del nomadismo, incitava ad un intervento repressivo nei confronti degli Jenish.
Nelle istituzioni di internamento psichiatrico, in cui finiranno comunque anche molti bambini, si praticarono numerose sterilizzazioni, che rientravano appunto nel programma di genocidio culturale. Solo nel 1972 i sistemi utilizzati nel 'Kinder der Landstrasse' divennero di pubblico dominio, attraverso la denuncia del settimanale "Der Schweizerischer Beobachter". L’anno successivo la 'Pro Juventute' decise di sospendere l’opera di sedentarizzazione forzata degli Jenish, ma nonostante questo, e nonostante le istituzioni svizzere avessero ormai riconosciuto la propria responsabilità, ancora nel 1988 un centinaio di Jenish erano rinchiusi in cliniche e manicomi
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