lunedì 18 marzo 2013

Diversità, devianza, criminalità.



"La necessaria difesa contro coloro che violano, non lo status quo, ma i sentimenti più profondi che contraddistinguono l'uomo dalle bestie, è uno dei pretesti con i quali i governi giustificano la loro esistenza. Noi dobbiamo eliminare tutte le cause sociali della criminalità, dobbiamo sviluppare nell'uomo sentimenti fraterni, e rispetto reciproco; dobbiamo, per dirla con Fourier, cercare alternative utili ai crimini. Ma se e finche' ci sono dei criminali, o la gente trova il sistema e l'energia per difendersi da sola, o la polizia e la magistratura faranno la loro riapparizione, e con esse i governi. Non è possibile risolvere un problema semplicemente negandone l'esistenza... Dobbiamo, a ragione, temere che questa necessaria difesa contro la criminalità possa trasformarsi nella ragione, o nel pretesto, per un nuovo sistema di oppressione e di privilegio. E' compito degli anarchici fare in modo che ciò non succeda. Cercando le ragioni di ogni atto criminale e facendo ogni sforzo per eliminarle; rendendo impossibile per chiunque trarre personale vantaggio dalla scoperta di un crimine, e lasciando che siano i gruppi interessati a compiere i passi che ritengono più opportuni ai fini della propria difesa; abituandoci a considerare i criminali come fratelli che hanno sbagliato, come, malati che hanno bisogno di un trattamento amorevole, proprio come se si trattasse di vittime di idrofobia o di qualche pericolosa malattia mentale...solo così sarà possibile conciliare l'assoluta libertà di tutti con la difesa da coloro che costituiscono un'evidente e pericolosa minaccia nei confronti di quella libertà... Per noi, lo svolgimento dei doveri sociali dev'essere un atto volontario, il diritto a usare la forza vale soltanto contro coloro che recano violentemente offesa ad altri, e impediscono loro di vivere in pace. La forza, la repressione violenta, deve essere usata solo nei confronti dei violenti, e solo per auto-difesa. Ma chi giudicherà? Chi garantirà la difesa necessaria ? Chi deciderà quali misure di repressione devono essere usate? Non ci sembra ci siano altre soluzioni oltre a quella di affidare tali decisioni alle parti interessate, al popolo, cioè alla massa dei cittadini, che si comporteranno differentemente a seconda delle circostanze e a seconda del loro grado di evoluzione sociale. Dobbiamo soprattutto evitare la creazione di corpi specializzati di polizia; si perderà forse qualcosa in efficienza repressiva, ma non cadremo nell'errore di rimettere in piedi lo strumento principe di ogni tirannia. Da ogni punto di vista, l'ingiustizia e la violenza passeggera del popolo sono meglio del tallone di ferro, della violenza statale dei giudici e dei poliziotti. Noi siamo, in ogni caso, solo una delle forze che agiscono nella società, e la storia procederà, come ha fatto, nella direzione risultante ad una sorta di parallelogramma delle forze, in cui tutte siano rappresentate." Errico Malatesta. Tre indicazioni emergono dalle osservazioni fatte da Malatesta. In primo luogo riconosce che ogni forma di giustizia informale e diretta ha la tendenza a consolidarsi in un'istituzione. Il problema è che ciò può succedere per ragioni in sè ottime: il tentativo di garantire all'accusato un processo "giusto"( a questo proposito, personalmente ritengo che il meccanismo del giudizio debba includere procedure tali da consentire una verifica dell'effettiva colpevolezza dell'imputato). Se è vero che il colpevole dovrà essere trattato molto meglio di quanto non lo sarebbe secondo l'attuale sistema, è certo comunque che alcune garanzie, caratteristiche dell'attuale legislazione, dovranno essere mantenute in qualsiasi ridefinizione dei criteri legali. Dovrà esserci pieno riconoscimento del principio dell'habeaus corpus, l'imputato avrà diritto a sapere di che cosa è accusato,si vedrà assicurata la possibilità di difendersi, dovrà essere fissata una regolamentazione della testimonianza universalmente riconosciuta, e così via. La storia dei regimi rivoluzionari è ricchissima di comitati di salute pubblica, di tribunali del popolo e di siffatti organi della rivoluzione, che hanno poi dimostrato di essere arnesi altrettanto dubbi, dal punto di vista di chi vi è stato giudicato, quanto i corrispondenti istituti borghesi che dovevano sostituire. Le più fortunate delle nazioni dell'Est europeo hanno lentamente reintrodotto i principi giuridici e le garanzie occidentali, con grande sollievo di tutti. Il problema, nei termini in cui lo pone Malatesta, è quello di come incarnare quei principi di "giustizia naturale" in organismi popolari che mantengono, comunque, un carattere provvisorio e non istituzionale. La seconda cosa che colpisce nel brano di Malatesta è la sua fiducia nel "popolo"; un argomento di cui gli avversari approfitteranno con entusiasmo , attirando l'attenzione sul fatto che quello da lui postulato è un popolo costituito da uomini ben diversi da quelli che si incontrano nella realtà. Noi sappiamo che i nostri popoli sono vendicativi quanto i giudici. Si dice che i tre quarti della popolazione britannica sia favorevole alla reintroduzione della pena capitale, e una percentuale ancora maggiore all'utilizzo della flagellazione. Questo è forse l'argomento sul quale gli anarchici incontrano più difficoltà nel fare accettare seriamente il loro punto di vista. Sembra che la nostra società sia pervasa da un'ansia immensa, da una paura sconfinata, assolutamente sproporzionata ai pericoli reali. La gente ha paura di doversi trovare senza difese.(In un altro campo, questo spiega perchè la gente non riesca a convincersi dell'opportunità del disarmo: è convinta che l'esercito la difenda realmente). La constatazione della forte, diffusissima preoccupazione nei confronti della criminalità, e dei tratti mitici con cui il problema è preso in considerazione, sembra dover rievocare la teoria psicanalitica secondo la quale non solo la società costruisce i suoi criminali, ma ne ha bisogno e di fatto alletta i suoi devianti, spingendoli a "impersonificare" ruoli criminali. "La società", ha scritto Paul Reiward,"oppone una certa resistenza agli innovatori... La società non aveva nessuna intenzione di superare il principio dell'occhio per occhio; non voleva essere privata dei suoi consolidati rapporti con i criminali e non voleva che i diversi le fossero sottratti". Ruth Essler ha espresso questo concetto in modo ancora più drammatico: "La società, usando i suoi criminali come capri espiatori e tentando di distruggerli, perchè non è in grado di sopportare il riflesso delle proprie colpe, non fa in realtà che pugnalarsi al cuore". Ci sono naturalmente persone che non cadono preda di quell'ansia repressa e di quei complessi di colpa : sono quelli che lavorano, in modo costruttivo e non punitivo, con i delinquenti e i "devianti", gente con un rapporto abbastanza sereno con se stessi per far fronte con successo alla tensione psicologica, all'irritazione e alla noia che spesso gli anormali ci provocano. Se vogliamo cambiare la società è probabilmente più importante per noi individuare ciò che produce questa gente, piuttosto che non ciò che genera gli atteggiamenti criminali. Ciò è importante per definire l'idea complessiva del controllo sociale dei comportamenti devianti. Che cosa è veramente antisociale? Se la risoluzione del problema spettasse a un manipolo di ficcanaso non sarebbe difficile immaginarci la risposta: " Grazie, preferisco la Legge". Ma nella società dovrebbe esserci spazio per la devianza, bisogna sostenere il diritto a essere devianti. E' questa, io penso, la base della famosa osservazione di Emile Durkeim, cioè che il crimine stesso è una regola sociale, "un fattore della salute pubblica,una componente integrale di tutte le società sane", dal momento che una società senza crimine sarebbe una società mummificata da un grado inimmaginabile di conformismo, e che "il crimine non significa solo che le strade per utili cambiamenti restano aperte: spesso infatti questi mutamenti sono fatti precipitare proprio dalla criminalità". In quanto anarchici, criminali noi stessi secondo certa gente, dovremmo essere i primi a tenere nel conto dovuto questo atteggiamento. Tali riflessioni ci portano diritti proprio alle conclusioni di Malatesta, alla sua osservazione che" in ogni caso noi siamo solo una delle forze che agiscono nella società". Non sono problemi, quelli di cui si è parlato in questo capitolo, tipici soltanto di un'ipotetica società anarchica, ma di ogni società, attuale e futura, nella quale esistano e si scontrino diverse filosofie sociali e atteggiamenti differenti. Ci saranno sempre comportamenti antisociali, e ci sarà sempre gente animata da volontà punitive, desiderosa di mantenere in vita uno spropositato meccanismo di punizione , con tutto quello che esso comporta. Se non saremo in grado di adottare metodi che sappiano riportare i comportamenti asociali dentro la società, o di sviluppare una forma di società capace di contenerli, finiremo vittime di quelle soluzioni autoritarie che altri sono pronti, ansiosi di applicare.

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