mercoledì 20 febbraio 2013

Se dovessi parlare agli elettori, ecco quanto direi loro




Se dovessi parlare agli elettori, ecco quanto direi loro: 

Da più di cinquant’anni voi siete in possesso del diritto al voto, e siete nominalmente padroni dei vostri destini; da più di mezzo secolo, voi e i vostri padri, fiduciosi nelle promesse di quei che mendicavano i vostri voti, nominate coloro che credete idonei a legiferare sul vostro benessere e sulla vostra libertà; non vi siete ancora accorti che leggi sempre più numerose s’impossessano sempre più degli atti della vostra vita i quali, fino ad ora, v’erano sfuggiti, di modo che la vostra soggezione è aumentata da quando non avevate che il fucile e la barricata per resister alle usurpazioni del potere.

Varie generazioni sono già scomparse nella tomba, fiduciose nelle panacee che promettevano loro i girella della politica, e la presente aspetta sempre la realizzazione delle vecchie promesse — è la prova migliore che quelle promesse non furono mai realizzate — ed eccovi ancora una volta a discuter gli stessi programmi, le stesse riforme.

Elettore, vecchia bestia! Tu avresti la fede tenace, se, da quando dura la commedia, questa non avesse preso un altro nome: stupidaggine o asineria. L’uno e l’altro, forse.

Stupidaggine, per essere tanto semplice da credere che altri si occuperanno onde realizzare quanto non ti sforzi di realizzare da te stesso; stupidaggine che va sino al punto di fidarti della buona fede di coloro i quali ti promettono cose che non ti daranno mai — e che del resto, sai bene, non daresti tu medesimo se fossi al loro posto, infischiandoti dell’interesse pubblico per pensare solo al tuo interesse personale.

Asineria, poiché tu, che dicesi e credi d’essere il padrone, sei abbastanza vile per tendere i polsi alle nuove catene che ti preparano, all’indomani di ogni mancata promessa e non ti senti sufficiente volontà ed energia onde agir da solo e per te solo.

Oh! come t’hanno fiaccato cinquant’anni di regime parlamentare! Mio povero amico, è il meno che ora si possa dire di te! Del resto, ciò che scusa la tua stupidaggine è la tua asineria, si è che gli sforzi combinati da coloro i quali si sono fatti, da secoli, i tuoi padroni ed educatori, hanno sempre cercato solo di rimbecillirti e fiaccarti. Lo strano è che tu abbia potuto resistere fino al giorno in cui hanno inventato il sistema di metterti fra le mani la scheda, l’ultima e più grande turlupinatura.




In tutti i tempi, i tuoi padroni si sono scherniti di te, non si sono installati al potere che con lo scopo di soddisfare il bisogno e la sete di comando, di dominio o di lucro ch’è in loro.

I padroni in auge nei tempi passati, come moralità, valevano quelli odierni.

Ma, spesse volte, vi mettevano, nel comandare, nel dominare, o nel lucrare, qualche pudore; cercavano di mascherare le loro palinodie, preferivano nascondere le loro venalità nell’ombra del potere. I governati amavano allora intervenire nei fraudolenti maneggi dei potentati, tanto più intensamente in quanto si voleva negare loro codesto diritto. Cent’anni, sessanta ed anche quarant’anni or sono, i tuoi antenati, o elettore, non avrebbero sopportato gli scandali che tu accetti pacatamente oggi, come se nulla ti interessassero. Per imporgli tutte le leggi restrittive con le quali ti si è gravato in questi ultimi trent’anni, si sarebbe dovuta soffocare una o più rivolte.

Da quando nomini dei deputati per fare le leggi, trovi logico che essi intervengano persino nei tuoi affari privati.

Dopo tutto a che cosa servirebbe eleggersi dei padroni, se questi non facessero sentire il loro potere! L’esempio venendo dall’alto, la cancrena non ha potuto fare a meno di raggiungerti. Tu sei avariato quanto lo sono i tuoi padroni; nessuna cosa, per quanto sia generosa, è più capace di sollevarti o anche semplicemente di scuoterti sfiorandoti l’epidermide. I tuoi padroni rubano, uccidono, saccheggiano popoli più deboli, tu lasci che i tuoi figli vadano ad aiutarli in queste ignominie, dopo aver loro insegnato l’obbedienza passiva; poi, al ritorno, vai ad accarezzare le mani insanguinate di coloro i quali li condussero ai massacri. Attualmente, sei la preda degli sbirri; è la polizia internazionale che ti governa: cosa t’importa? Per te sono degli esaltati, degli scavezzacollo quelli che si ostinano a non volersi piegare e si ribellano al giogo. Tu, tu vuoi quello che vogliono i tuoi padroni: cosa t’importa di colui il quale vuol essere libero, ed è perciò inseguito e perseguitato come una bestia feroce?

Se la tua curiosità ti spinge qualche volta nel mezzo d’una dimostrazione, e fa che male te ne incolga, sei pronto a domandare scusa d’esserti trovato sotto i colpi degli sbirri!

Sembra persino che il cinismo di coloro i quali ti raggirano, sia per te un titolo di più per ammirarli; perché il deputato, ai tuoi occhi, è colui il quale si incaricherà di ottenerti un posto lucrativo o un favore. L’interesse pubblico! L’interesse generale! Oh, non esiste per te! Preferisci il deputato che potrà favorirti un posto in margine a qualche bilancio governativo — facendoti magari diventare semplice bidello d’ufficio — o che farà votare dei diritti protettori per la tua industria.

Che tu, o elettore, cerchi il tuo interesse personale, è più che naturale. Lo Stato sociale moderno è basato sull’antagonismo, non solo dell’interesse particolare e dell’interesse generale, ma anche degli interessi particolari medesimi. Mentiscono sfacciatamente coloro i quali vengono a dirti che vogliono dedicarsi all’interesse pubblico. Non vi è interesse pubblico, vi son solo interessi di gruppi, di caste, di individui, eternamente in conflitto gli uni con gli altri.

E quando ti si dice che bisogna qualche volta saper sacrificare l’interesse particolare per il più gran bene di tutti, è una truffa che ti si propone, nella quale sei designato a fare la parte della vittima. Dunque, che tu cerchi il tuo interesse particolare, nulla di meglio.

Ma perché essere tanto ipocrita quanto i ciarlatani della politica? Mostrati quale sei. Discuteremo in seguito per vedere se prendi davvero la strada della tua emancipazione, cercando unicamente di contendere pochi favori allo Stato sociale attuale.

Prima di tutto, se tu fossi meno allocco, ti saresti accorto già da un pezzo, che, in questo conflitto d’interessi e d’appetiti insaziati, sei male in arnese, quindi soggetto a farti sempre ingannare.

Coloro i quali vengono a prometterti di volersi occupare di te alla Camera, di volersi interessare alla tua emancipazione politica ed economica, non sono che dei mariuoli o degli imbecilli.

Dei mariuoli, se sanno di non poter mantenere le promesse che fanno e se promettono solo quanto può lusingarti per meglio ingannarti; degli imbecilli, se sono convinti di poter realizzare le loro promesse: perché questa convinzione significherebbe che non si sono mai resi conto delle complicazioni dell’ordine sociale odierno, né del suo andare, né delle sue possibilità.

Se avessero studiato i fenomeni economici, saprebbero che nessuna riforma utile può essere operata senza intaccare l’organizzazione fondamentale; ed appunto per questo, tutte le riforme che inventano e ti preconizzano, non sono che un pretesto onde evitare di ledere le basi sociali considerate sacre dai più, o anche pericolose qualora venissero menomate. Emanciparti e metterti nella possibilità di ottenere la tua parte integrale di produzione, non domandano di meglio i tuoi rappresentanti! Ma nello stesso tempo, vogliono rispettare i privilegi dei padroni. Allorquando avrai ben compreso l’antinomia di queste due affermazioni, sarai completamente edificato sulla loro mentalità. Vi è, lo so, — sorvolo sulle sfumature — una terza categoria di cittadini, i quali non sono eccessivamente convinti di poter realizzare alla Camera le promesse che ti fanno, e te lo confessano più o meno apertamente. Soltanto dicono: — Se lasciamo il posto ad altri, questi saranno padroni di fare quel che vorranno, e questo è quanto non deve accadere. Bisogna che voi ci mandiate lassù per portarvi le vostre lamentele — alcuni dicono: le vostre volontà — e far argine all’invasione reazionaria.

Anche costoro — coscienti o incoscienti —, o desiderano di sfoggiarla in tuo nome, o non sanno ciò che dicono, e t’ingannano ingannandosi.

Partecipando alla commedia del voto, accettando la parte che ti si dà nella commedia, tu sottoscrivi alla tua servitù.

I tuoi deputati alla Camera non possono parlare se non conformandosi alle leggi ed ai regolamenti. E, stanne certo, codesti regolamenti, codeste leggi sono abbastanza numerose e varie perché si possano soffocare le loro voci, se per caso fossero troppo discordanti, se osassero sollevare delle questioni di vero interesse generale. Potranno parlare solo a condizione di non dire nulla o di limitarsi a delle esercitazioni puramente accademiche. E la loro presenza al Parlamento non farà che dare un’impressione di legittimità alle misure che verranno prese a tuo danno, contro di te.

Contro di te, comprendi bene questo, perché la legge non può far altro che restringere i tuoi diritti, la tua libertà. Se tu avessi il diritto di pensare, di agire come ti pare, non avresti bisogno di leggi che sanzionino l’esercizio di codesto diritto. D’altro lato, i governanti osano, contro di te, solo quanto ti riconoscono capace di sopportare vilmente. Persino le leggi fatte con la tua partecipazione, non azzardano farle applicare se non quando vedono l’opinione pubblica abbastanza rincretinita per subirle. E quando esitano ad applicarle, non sono le declamazioni dei deputati che li fanno esitare, ma il clamore delle tue riunioni, il timore della tua resistenza, il sano terrore di veder disselciate le strade ed alzate le barricate, sono le urla gesuitiche della stampa, questa prostituta del potere e della finanza, pronta sempre ad assecondarti, ogni qualvolta ti mostri essere il più forte e quindi capace di volere seriamente.

Impara dunque a fare i tuoi affari da te stesso, povero stupido; manda una buona volta a spasso — e per sempre — tutti i sollecitatori di mandati, i quali, soprattutto quando sono sinceri, non fanno che farsi la réclame personale sulla tua miseria, e ti illudono facendoti sperare dagli altri ciò che tu solo puoi e devi realizzare.


Ora elettore, mi domanderai forse il perché ti dico tutto ciò? Qual è l’interesse che mi spinge a demolire le marionette che tanto ti rallegrarono? Rassicurati, non ti chiederò di nominarmi al loro posto. Non ho alcuna panacea da proporti. Se provo il bisogno di raccontarti tutto questo, è perché la tua servitù fa anche la mia, il tuo sfruttamento assicura il mio, e non potrò mai emanciparmi nel senso che l’intendo, che allorquando sarai libero tu stesso.

Sapendo che non posso emanciparmi senza di te, né emanciparmi, emancipandoti, senza la tua partecipazione diretta, sono costretto a cercare ogni mezzo onde farti comprendere la cecità nella quale vivi, o meglio vegeti, salvo magari a passare io per un pazzo ai tuoi occhi, o un ciarlatano come tutti gli altri.

Sì, pensa che vi sono certi individui — vi sono davvero dei tipi strani al mondo — i quali non si ritengono liberi fin tanto che si sentono vicini degli esseri schiavi; le più pure gioie della vita gli sembrano amare, ostiche, quando sanno essere procurate da persone la cui vita è fatta di miseria e di dolore.

Le sofferenze degli altri distruggono le loro gioie.

Alzi le spalle? Tu non puoi comprendere queste parole, e pensi in te stesso che bisogna essere pazzo per amareggiarsi dei dolori altrui? — Eccone un altro, dici forse, il quale mi racconta delle storie, e fa il disinteressato soltanto per domandarmi qualche cosa di più; eccone un altro il quale sputa nel piatto del vicino unicamente perché sa di non potervi mangiare lui medesimo.

Pensa quello che vuoi. Non faccio alcun conto della tua opinione. Il mio orgoglio, vedi, è di poter pensare che se queste righe ti capiteranno sotto lo sguardo, tu sarai, presto o tardi, costretto a riconoscere la verità di quanto vado dicendo.

Vi sono dei giorni d’amarezza in cui ci si sente schiacciati dall’indifferenza delle cose e degli esseri, in cui la natura lussureggiante insulta i vostri dolori, e ci si sente piccini piccini nel mondo, dei giorni in cui si prova il bisogno della simpatia degli altri, e ci si rimprovera l’egoismo nel quale si è vissuti. È appunto in quei momenti d’amarezza che si riconosce l’urgenza della solidarietà.

Elettore, se per tua buona ventura non hai ancora conosciuto quei momenti, li conoscerai in avvenire, stanne certo.

Frattanto, è un godimento accessibile a pochi, il potersi dire che si ha ragione contro tutti; è così che ci si sente veramente superiori alle bassezze, alle villanie che fanno la gioia del volgare. Poter esprimere il disgusto che si prova pei dominatori, esprimerlo a coloro i quali li adulano, val bene qualche sacrificio materiale.

Quanto a te, elettore, povero montone tosato — quando non sei addirittura sgozzato — continua a scegliere fra coloro i quali ti accarezzano per meglio tosarti a loro piacere. Va’ a votare! Scegliti dei padroni! Scegliteli bene! Non avrai mai altri che quelli che meriti! Domani sarai ancora lo schiavo d’oggi e lo sarai fintanto che non avrai risoluto di spezzare il collare e le ritorte della schiavitù politica ed economica!

Ecco quello che direi, se dovessi parlare agli elettori.

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