Non farmi così sola come il vento
che si dispera in questa notte fonda
fino a morirne, eternamente sola
non farmi, come già sono da viva,
sotto la volta immensa ch’è misura
del nostro nulla. In punto di lasciare
questa mia fragile vicenda, tutte
le mie dolci abitudini, e la gioia
che spesso segue all’urto del dolore,
voglio adagiarmi su una zolla d’erba
nell’inerzia, supina. E avrò più cara
la morte se in un attimo, decisa,
piano verrà, toccandomi una spalla.
La mestizia una maschera d’ancella
disegna sul mio viso: aria di giglio
che pensa mi incorona; io sento il vuoto
assumere ai miei occhi forma umana.
Ah, facilmente lo schiavo s’impiglia
nella catena che infranse a fatica!
Saggio è chi resta libero, e non cede
neppure al dio che invoglia alle carezze
quando trafitti da spade d’amore
gli occhi ottusi cavalcano nei sogni
sopra l’azzurro amplissimo dei cieli!
Non sottomessa ma ribelle al fascino
dispotico che emana il dio fanciullo,
dolcemente scherzando con la maschera
di mestizia stampata sul mio viso,
mi accomiato dal mondo e da me stessa
con un gesto sommesso di distacco.
Epilogo
O vento che commemori passate
moltitudini e fasti inceneriti,
o tempo contro cui non c’è riparo:
mi riduco al silenzio, nell’attesa
purissima dell’ombra che già stende
sui vivi un lembo della notte eterna.
Forse è quest’ombra tragica sospesa
sul ciglio della notte che fa illusi
gli uomini di conoscersi e di amarsi,
naufraghi nel silenzio dei millenni.
O vento che commemori passate
moltitudini e fasti inceneriti,
o tempo contro cui non c’è riparo:
mi riduco al silenzio, nell’attesa
purissima dell’ombra che già stende
sui vivi un lembo della notte eterna.
Forse è quest’ombra tragica sospesa
sul ciglio della notte che fa illusi
gli uomini di conoscersi e di amarsi,
naufraghi nel silenzio dei millenni.
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