venerdì 16 novembre 2012

Compagna Luna

Eugène Carrière 


Essere sembra non bastare.
Provare ad azzerare è impossibile. Ognuno ha la sua storia e tentare di staccarsela di dosso è praticamente non esistere. Ma come coniugare l'esserci tutta intera senza ritrovarmi continuamente fuori misura? In una diversità che sembra incapace di comunicare. Che provoca sguardi sfuggenti o risposte ai limiti della banalità. Come se, ogni volta, costringessi il prossimo mio a mettere in campo ogni artificio per autoconservarsi nella facoltà stessa di rimanere attaccato al proprio senso del mondo. E succede così che la parola muore.
Ma stavolta non posso limitarmi a scappare e rifugiarmi nel limbo del mio inaccessibile. Come ho imparato a fare da quando l'attesa dell'incontro col fuori si è trasformata nello spaesamento di ogni ritorno difficile.
Sono esposta, perché da quello che mi piomba addosso non posso fuggire. Come sempre è impossibile dalla involontaria consuetudine dell'accadere.
Potrei andare dovunque e accadrebbe lo stesso, perché adesso so che sta accadendo. No, non ci sono mani amiche che possono placare, né occhi amorevoli rassicurare. Non c'è neanche parola che possa comunicare e far condividere. Sono sola e senza misure. In mezzo a tanta gente e totalmente in balìa.
In fondo è soltanto che , come sempre, si è fatta sera.
Ma io dov'ero quando continuava a succedere, giorno dopo giorno?
Perché ho potuto capire persino il crollo dei muri e non riesco a far fronte a questo sentire?
Quando si è creata simile frattura tra le due percezioni?
Il corpo e le sue ragioni.
Sì, certo. La politica con le sue necessità e gli infiniti rimandi. Poi il carcere e la sublimazione di ogni desiderio, fino a star male da cani per l'odore improvviso nella piega di un braccio - e sei animale, albero, brezza.
Pura ed esclusiva sensibilità.
Vivere in un tempo sospeso. Come andare avanti senza curarsi del suo scorrere, con quel tanto di folle certezza di ritrovare, un giorno, tutto e, in fondo, sapere che tutto sta andando senza di te.
E gli anni che passano senza essere attraversati. Passano solamente. Con più niente che è possibile fare riprendendo dal punto in cui il contatto con la vita si è spezzato.
Invecchiare senza aver attraversato tutte le stagioni, vagheggiando di ripercorrere strade buone per altre, fino all'inconsolabile infelicità per non aver vissuto, restando in vita, una parte della propria esistenza.
Ma ho poi vissuto veramente o mi sono limitata a bruciare ogni attimo esistente per l'avvento di domani? E chi ha chiuso, strappato, ricucito malamente ferite e dettato tempi e regole? è stato qualcosa all'esterno da me? e io sono qualcosa di altro? E se sì, dove andarmi a cercare?
Dov'è vita? Dov'è io-vita?
Perché è tutto così fuori posto? E si muove con tale velocità e indifferenza da far riemergere il vecchio incubo di non aver voce, né visibilità proprio quando ho più bisogno di ascolto e di presenza.
E allora accade.
La cerco, guardando su, nello spazio tra i tetti, in mezzo al nero del cielo. C'è. Per fortuna. E' solo uno spicchio, ma c'è.
Bella, sfrontata, distante, indifferente, inaccessibile.
E solo allora mi placo. E' finita ogni urgenza, ogni caparbietà a capire, a rendermi compatibile, a smussare, a fuggire, tornare, a provare gioia, a sentire dolore.
E' là. E' sempre stata là, non si cruccia, non gioisce, non invecchia, non agisce, non chiede, non dà, non vuole. E se muore è per rinascere. Sempre daccapo.
E'.
A tal punto che, nel mio tempo non tempo, è sempre riuscita a coinvolgermi nella sua legge potente. A farmi entrare nel suo caos fatto di quiete.
Lì dove c'è quel nulla assoluto che rende fuorviante ogni parola e ci svela come esseri incomunicanti, per quello che siamo ognuno d'essenziale.
Lì dove non vige il bisogno di illuminare, di capire, del linguaggio ridondante che confonde, della fame d'amore, della passione per il mondo, della mendicità di riconoscersi nello sguardo altrui.
Lì dove tutto è ridotto all'impersonale dell'essere che non ha bisogno dell'io per orientarsi.
Lì dove finalmente è leggerezza, nella libertà da ogni necessità e contingenza.
Approdo.
Sono sulla riva opposta a quella di partenza e la scoperta è di quelle che affascinano. Il mondo ritorna com'era all'inizio dei tempi e io con lui.
Le ragioni di nuovo tutte creaturali.
Provo a rinascere in un riattraversamento di carne e sangue di ogni pezzo di me, nel tentativo di riportarli tutti a vita.
Dovrei tornare indietro.
Ci torno. Sono appena nata. Non parlo, non cammino, non mi sposto nel tempo, non so neanche cosa sia domani.
Mi muovo nel buio della coscienza.
Sono puro sentire.
So l'essenziale per vivere e il resto non mi riguarda, lasciato nel beneficio dell'imperscrutabile e dell'immotivato.
So arrivare alla fonte prima delle cose perché le saggio, al buio di ogni ragione, con labbrucce voraci.
Non mi interessa capire, prevedere, programmare.
Solo vivere.
Confusa nel tutto.

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