Eugène Carrière
Essere sembra non
bastare.
Provare ad azzerare è
impossibile. Ognuno ha la sua storia e tentare di staccarsela di dosso è
praticamente non esistere. Ma come coniugare l'esserci tutta intera senza
ritrovarmi continuamente fuori misura? In una diversità che sembra incapace di
comunicare. Che provoca sguardi sfuggenti o risposte ai limiti della banalità.
Come se, ogni volta, costringessi il prossimo mio a mettere in campo ogni
artificio per autoconservarsi nella facoltà stessa di rimanere attaccato al
proprio senso del mondo. E succede così che la parola muore.
Ma stavolta non posso
limitarmi a scappare e rifugiarmi nel limbo del mio inaccessibile. Come ho
imparato a fare da quando l'attesa dell'incontro col fuori si è trasformata
nello spaesamento di ogni ritorno difficile.
Sono esposta, perché
da quello che mi piomba addosso non posso fuggire. Come sempre è impossibile
dalla involontaria consuetudine dell'accadere.
Potrei andare
dovunque e accadrebbe lo stesso, perché adesso so che sta accadendo. No, non ci
sono mani amiche che possono placare, né occhi amorevoli rassicurare. Non c'è
neanche parola che possa comunicare e far condividere. Sono sola e senza misure.
In mezzo a tanta gente e totalmente in balìa.
In fondo è soltanto
che , come sempre, si è fatta sera.
Ma io dov'ero quando
continuava a succedere, giorno dopo giorno?
Perché ho potuto
capire persino il crollo dei muri e non riesco a far fronte a questo
sentire?
Quando si è creata
simile frattura tra le due percezioni?
Il corpo e le sue
ragioni.
Sì, certo. La
politica con le sue necessità e gli infiniti rimandi. Poi il carcere e la
sublimazione di ogni desiderio, fino a star male da cani per l'odore improvviso
nella piega di un braccio - e sei animale, albero, brezza.
Pura ed esclusiva
sensibilità.
Vivere in un tempo
sospeso. Come andare avanti senza curarsi del suo scorrere, con quel tanto di
folle certezza di ritrovare, un giorno, tutto e, in fondo, sapere che tutto sta
andando senza di te.
E gli anni che
passano senza essere attraversati. Passano solamente. Con più niente che è
possibile fare riprendendo dal punto in cui il contatto con la vita si è
spezzato.
Invecchiare senza
aver attraversato tutte le stagioni, vagheggiando di ripercorrere strade buone
per altre, fino all'inconsolabile infelicità per non aver vissuto, restando in
vita, una parte della propria esistenza.
Ma ho poi vissuto
veramente o mi sono limitata a bruciare ogni attimo esistente per l'avvento di
domani? E chi ha chiuso, strappato, ricucito malamente ferite e dettato tempi e
regole? è stato qualcosa all'esterno da me? e io sono qualcosa di altro? E se
sì, dove andarmi a cercare?
Dov'è vita? Dov'è
io-vita?
Perché è tutto così
fuori posto? E si muove con tale velocità e indifferenza da far riemergere il
vecchio incubo di non aver voce, né visibilità proprio quando ho più bisogno di
ascolto e di presenza.
E allora
accade.
La cerco, guardando
su, nello spazio tra i tetti, in mezzo al nero del cielo. C'è. Per fortuna. E'
solo uno spicchio, ma c'è.
Bella, sfrontata,
distante, indifferente, inaccessibile.
E solo allora mi
placo. E' finita ogni urgenza, ogni caparbietà a capire, a rendermi compatibile,
a smussare, a fuggire, tornare, a provare gioia, a sentire dolore.
E' là. E' sempre
stata là, non si cruccia, non gioisce, non invecchia, non agisce, non chiede,
non dà, non vuole. E se muore è per rinascere. Sempre daccapo.
E'.
A tal punto che, nel
mio tempo non tempo, è sempre riuscita a coinvolgermi nella sua legge potente. A
farmi entrare nel suo caos fatto di quiete.
Lì dove c'è quel
nulla assoluto che rende fuorviante ogni parola e ci svela come esseri
incomunicanti, per quello che siamo ognuno d'essenziale.
Lì dove non vige il
bisogno di illuminare, di capire, del linguaggio ridondante che confonde, della
fame d'amore, della passione per il mondo, della mendicità di riconoscersi nello
sguardo altrui.
Lì dove tutto è
ridotto all'impersonale dell'essere che non ha bisogno dell'io per
orientarsi.
Lì dove finalmente è
leggerezza, nella libertà da ogni necessità e contingenza.
Approdo.
Sono sulla riva
opposta a quella di partenza e la scoperta è di quelle che affascinano. Il mondo
ritorna com'era all'inizio dei tempi e io con lui.
Le ragioni di nuovo
tutte creaturali.
Provo a rinascere in
un riattraversamento di carne e sangue di ogni pezzo di me, nel tentativo di
riportarli tutti a vita.
Dovrei tornare
indietro.
Ci torno. Sono appena
nata. Non parlo, non cammino, non mi sposto nel tempo, non so neanche cosa sia
domani.
Mi muovo nel buio
della coscienza.
Sono puro
sentire.
So l'essenziale per
vivere e il resto non mi riguarda, lasciato nel beneficio dell'imperscrutabile e
dell'immotivato.
So arrivare alla
fonte prima delle cose perché le saggio, al buio di ogni ragione, con labbrucce
voraci.
Non mi interessa
capire, prevedere, programmare.
Solo
vivere.
Confusa nel
tutto.
Nessun commento:
Posta un commento