Uno dei primi ostacoli che si incontra
nell'intraprendere una discussione sull'uso dello zucchero sta
nella grossa difficoltà a percepire come elemento esotico, acquisito di
recente, ciò che ci pare essere sempre stato presente nella nostra vita, nel
nostro quotidiano.
La stessa cosa vale per molte
abitudini umane: la capacità di discernere l'antico dal
modern arranca già se si sta parlando degli anni in cui vissero i
nostri nonni, e risalendo all'indietro ancora di una generazione tutto si
perde nella foschia di un passato illusoriamente remotissimo, una
vera e propria preistoria fittizia.
Tra chi si pone il problema di cosa
sia un'alimentazione decente ( un numero di persone ancora esiguo, ma
ormai non irrisorio), è diffusa la consapevolezza che merendine,
snack, coche e pepsicole, girelle, sofficini, sottilette, wurstel, finte
patatine fritte dai nomi e dalle composizioni più inverosimili
costituiscano un quotidiano attentato a stomaco, fegato
e reni di chi si azzarda ad ingurgitarle, in specie bambini. Chiunque si
soffermi un attimo a pensarci sa perfettamente che questi prodotti
sono articoli industriali, edulcorati, aromatizzati e conservati con sostanze
ignote e probabilmente pericolose - e quindi che come alimenti risultano del
tutto artificiali.
Anche le pubblicità li reclamizzano spesso
come sani o come moderni, giovani, e solo di rado si azzardano a
propagandarli quali antichi e naturali.
I nostri bisnonni non mangiavano
pringles né cordon bleu, di questo ognuno è consapevole, ma le mie nonne
(e le vostre, presumo) zuccheravano abbondantemente il loro caffè e il
loro tè, questo gesto quindi mi è sempre parso antichissimo, e in qualche
modo naturale.
Ora, rimandando l'addentrarsi sullo spinoso
terreno della distinzione tra cosa sia naturale e cosa no ai
capitoli successivi, possiamo portare un contributo allo
schiarimento della nebbiosa faccenda raccontando brevemente da dove, come
e quando è arrivato il barattolo di polvere bianca che la mattina
mettete sul tavolo per la colazione...
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