venerdì 19 ottobre 2012

C'è in lista ... Étienne de La Boétie ?

Vi sono tre tipi di tiranni: alcuni ottengono il potere in base alla scelta del popolo; altri con la forza delle armi; gli ultimi infine per successione dinastica. Coloro che l'hanno avuto per diritto di guerra si comportano nel modo che tutti ben conoscono, trovandosi, come si usa dire, in terra di conquista. Chi invece nasce re non è certo migliore, anzi essendo nato e cresciuto in seno alla tirannia la natura di despota l'ha succhiata con il latte: considera infatti i popoli che gli sono sottomessi alla stregua di servi avuti in eredità e, secondo l'inclinazione che si ritrova, tratta il regno da avaro o da scialacquatore come fosse cosa sua propria. Infine per quanto riguarda colui che ha ricevuto il potere dal popolo, mi sembra che dovrebbe essere più sopportabile e credo lo sarebbe se non fosse per il fatto che una volta vistosi innalzato sopra tutti gli altri, gonfiato da un sentimento che non saprei definire ma che tutti chiamano senso di grandezza, decide di non scenderne più. Di solito poi costui fa conto di lasciare ai figli il potere che il popolo gli ha affidato; e dal momento che essi si mettono in testa questa idea è uno spettacolo tremendo osservare come sanno superare in ogni tipo di vizi e perfino in crudeltà gli altri tiranni, non trovando altro metodo per rafforzare la nuova tirannia se non quello di accrescere la schiavitù e di sradicare la libertà dall'animo dei loro sudditi a tal punto che, per quanto l'abbiano ben presente nella memoria, riescono a fargliela perdere.
Così, a dir la verità, vedo che tra i vari tipi di tirannide vi è qualche differenza ma non noto che vi sia la possibilità di una scelta, poiché pur essendo diverse le vie per arrivare al potere il modo di regnare è sempre più o meno lo stesso. Coloro che sono eletti dal popolo lo trattano come un toro da domare; chi ha conquistato il regno pensa di avere su di lui il diritto di preda; chi infine lo ha ereditato considera i sudditi come suoi schiavi naturali. A questo proposito però vorrei chiedere: ammettiamo per caso che oggi nasca un tipo di gente del tutto nuovo, non abituata alla servitù né allettata dalla libertà, che non sappia assolutamente nulla dell'una e dell'altra cosa se non a malapena i nomi; se a costoro venisse presentata l'alternativa tra l'esser servi o il vivere liberi secondo quelle leggi che stabiliranno fra loro di comune accordo, che cosa sceglierebbero? Non c'è dubbio che avrebbero più caro ubbidire soltanto alla ragione piuttosto che servire ad un uomo, a meno che siano come quei d'Israele che senza alcuna costrizione o necessità si crearono un tiranno . E devo confessare che non riesco mai a leggere la storia di questo popolo senza provare una stizza tale da diventare quasi inumano nei suoi confronti, arrivando al punto di rallegrarmi per tutte le disgrazie che gli sono poi capitate. Certamente perché tutti gli uomini (fin quando almeno hanno qualcosa di umano) si lascino assoggettare è necessario una delle due: esservi costretti o ingannati. Costretti dalle armi straniere, come Sparta e Atene dall'esercito di Alessandro, o dalle fazioni in gioco, come il governo di Atene prima di cadere nelle mani di Pisistrato. Per inganno gli uomini perdono sovente la loro libertà; in questo un poco sono sedotti da altri, più spesso però accade che siano loro stessi ad ingannarsi. Così gli abitanti di Siracusa, la principale città della Sicilia, assaliti da ogni parte e preoccupati solo di salvarsi dal pericolo imminente, chiamarono Dionigi Primo e gli diedero l'incarico di guidare l'esercito contro il nemico, senza badare al fatto di averlo reso così potente che una volta tornato vittorioso questo furfante, come se avesse sconfitto non dei nemici ma i suoi stessi concittadini, da capitano si fece promuovere re e da re tiranno. E nessuno crederebbe come un popolo, dopo essere stato sottomesso, sprofondi subito in una tale dimenticanza della libertà che non gli è più possibile risvegliarsene per riacquistarla, ma serve così di buon grado il tiranno che a vederlo si direbbe non già che ha perso la sua libertà ma che si è guadagnato la sua servitù. E' pur vero che all'inizio l'uomo serve a malincuore, costretto da forza maggiore; ma quelli che vengono dopo, non avendo mai visto la libertà e non sapendo neppure cosa sia, servono senza alcun rincrescimento e fanno volentieri ciò che i loro padri hanno fatto per forza. E così gli uomini che nascono con il giogo sul collo, nutriti e allevati nella servitù, senza sollevare lo sguardo un poco in avanti si accontentano di vivere come sono nati, e non riuscendo a immaginare altri beni e altri diritti da quelli che si sono trovati dinnanzi prendono per naturale la condizione in cui sono nati. E tuttavia non c'è erede tanto spensierato e incurante che qualche volta non dia un'occhiata ai registri di famiglia per vedere se gode di tutti i diritti di successione o se invece non sia avvenuta qualche macchinazione contro di lui o contro i suoi predecessori. Ma è anche vero che la consuetudine, la quale ha un grande influsso su tutte le nostre azioni, esercita il suo potere soprattutto nell'insegnarci a servire, e come Mitridate che si abituò a bere il veleno, ci rende alla fine assuefatti a trangugiare normalmente il veleno della servitù senza sentirne l'amaro. Certamente nel tendere verso il bene o verso il male gioca in gran parte la natura che ci spinge dove vuole; ma bisogna ammettere che essa ha meno potere su di noi di quanto non l'abbia la consuetudine, perché la nostra indole, per quanto possa essere buona, va persa se non si cerca di mantenerla.

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